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Mercati globali/2. Sace: più rischi per chi esporta, ecco la mappa aggiornata

di Alessandro Arona

Il protezionismo è già in aumento, da anni, a dispetto delle trattative (poi saltate) per i trattata di libero scambio Usa-Europa e Usa-Asia. E l'aumento del debito (pubblico e provato) a livello globale incrementa i rischi bancari e valutari, e di conseguenza i rischi di mancato pagamento per le imprese che lavorano su quesi mercati.

Non è un quadro roseo quello delineato dalla Sace nella sua «Mappa dei rischi 2017», appena pubblicata. «Il quadro delineato dalla Mappa di quest'anno - spiega la Sace - è quello di un mondo diviso, caratterizzato da un forte ripensamento della globalizzazione e dal ritorno in auge delle politiche protezioniste, oltre che da una crescente dicotomia tra mercati avanzati ed emergenti, particolarmente segnati da elevati livelli d'indebitamento, tensioni valutarie e instabilità geopolitica».

PROTEZIONISMO
Il 2016 ha segnato un picco nelle misure protezionistiche adottate da diversi Paesi nel mondo: dallo scoppio della crisi finanziaria globale le barriere elevate sono salite a oltre 3.500; quasi un quarto di queste impongono l'obbligo di avere almeno una certa percentuale di un prodotto o servizio realizzato nel Paese, soprattutto per prodotti elettronici e veicoli. Si tratta di misure scelte in particolare dai Paesi del G20, a partire dagli Stati Uniti - terzo mercato di destinazione dell'export italiano - che hanno introdotto una misura protezionistica ogni quattro giorni.
I dieci settori più colpiti dal protezionismo rappresentano quasi il 41% del commercio mondiale, che ha subito inevitabilmente una contrazione: dal 2008 al 2016 è cresciuto a un tasso medio annuo del 2,9%, ben inferiore al 7,3% messo a segno nel periodo precedente (2000-2007).

L'aumento delle misure protezionistiche non dunque è storia degli ultimi mesi, ma l'anno appena trascorso ha segnato il picco. Le barriere elevate dal 2008 ai primi mesi del 2016 sono oltre 3.500.
In testa alle misure protezionistiche adottate dal 2008 ci sono già gli Stati Uniti, 1084 misure, seguite dalle 588 dell'India, 460 della Russia, 328 dell'Argentina, 271 del Brasile, 252 del Regno Unito, 236 della Germania, 208 dell'Arabia Saudita e quindi i 207 dell'Italia.

RISCHIO DEBITO
Oltre alle paure protezionistiche il 2016 ha visto il confermarsi di una criticità già emersa lo scorso anno e che, con l'andare del tempo, mostra il suoi effetti più negativi: l'indebitamento. Nel 2016 l'insieme dei debiti pubblici, delle famiglie e delle imprese sia finanziarie che non finanziarie, ha raggiunto a livello globale il 325% del Pil mondiale: è cresciuto di oltre USD 11 mila mld nei primi nove mesi del 2016, arrivando a USD 217 mila mld. Se si escludono quelli del settore finanziario, i debiti sono più che raddoppiati dall'inizio di questo secolo, raggiungendo i USD 152 mila mld a fine 2015; circa 2/3 di questi
sono riconducibili al settore privato.
Il fenomeno è alimentato prevalentemente dalla componente pubblica nei mercati avanzati e dalla componente privata in diversi Paesi emergenti, come Brasile, Messico, India, Egitto,Turchia, Mozambico, Nigeria e Angola, con conseguenze particolarmente forti sui livelli dei rischio delle controparti bancarie. Un discorso a parte merita la Cina, dove l'imponente debito privato e degli enti locali e aziende di stato raggiunge il 240% del Pil.

L'alto livello di debito comporta per le imprese italiane che operano in quei mercati rischi di mancato pagamento (pubblico o privato), calo della domanda estera dei paesi, aumento del costo del funding.

RISCHIO BANCARIO
È comunque il debito bancario la vera fonte di preoccupazione nei mercati emergenti.
Mozambico, Nigeria e Angola sono le principali economie in Africa Subsahariana che hanno sperimentato un aumento del rischio di mancato pagamento da parte delle banche. Tutte e tre legate a doppio filo ai ricavi da materie prime, carbone e alluminio per il Mozambico e petrolio per Nigeria e Angola.
In Nigeria, dove il rischio è passato da 80 a 90, il sistema bancario risente di un'attività economica stagnante dovuta al calo dei proventi del petrolio. Il NPL ratio13 è in aumento e si attesta intorno al 12%.
Nell'area dell'America Latina, il rischio bancario delle due principali economie è aumentato: in Brasile è passato da 54 a 61 e in Messico da 34 a 3614. Con l'arrivo della recessione, la fine della bonanza del credito e il calo della redditività di molte imprese, le banche brasiliane hanno sperimentato un calo drastico della qualità dei prestiti concessi. A fine 2016 i NPL sono aumentati e si sono attestati intorno al 4%. In Messico il NPL ratio ha superato il 2,5% a fine 2016, a pesare hanno contribuito principalmente i crediti al consumo e il segmento
delle costruzioni.

Sace, la mappa dei rischi

ll rapporto Sace

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