Appalti

Terremoto/2. Il rischio di corto circuito tra emergenza e ricostruzione

di Giorgio Santilli

La bella notizia del ritrovamento dei superstiti dell'hotel Rigopiano sovrasta per un giorno le polemiche politiche sui ritardi dei soccorsi. Bisogna sottrarsi a strumentalizzazioni, ma al tempo stesso evitare che vinca la burocrazia. L'attuazione del decreto legge sul post-terremoto, che sceglie un modello di separazione netta fra l'intervento di primo soccorso della Protezione civile e quello di ricostruzione affidato al super-commissario Vasco Errani, con competenze sulla carta nettamente divise ma svolte nello stesso momento e negli stessi luoghi ancora in gran parte "inagibili", presenta alcune criticità che stanno emergendo in questa fase e che è bene correggere al più presto.

Problemi che nascono non soltanto da conflitti di competenza e sovrapposizioni (superate nella gran parte dei casi dalla buona collaborazione e dalla volontà di trovare soluzioni), ma anche dal ritardo di entrata a regime dell'intervento più strutturato di sostegno alla ricostruzione. La criticità più grave è infatti che a Errani è stata affidata dalla legge una macchina amministrativa tutta da costruire, in tempi che sembrano allungarsi se si guarda alla piena operatività di queste strutture. Quella piena operatività che è l'unico metro con cui imprese e cittadini possono guardare all'azione dello Stato.

Facciamo un esempio. Se le ordinanze del 14 dicembre e del 9 gennaio aiutano le imprese a ripartire definendo alcune regole fondamentali sulla riparazione dei danni gravi e sulla delocalizzazione dell'attività - e bisogna dare atto a Errani di avere fatto uno sforzo di accelerazione nella stesura di queste ordinanze - l'iter concreto delle autorizzazioni, delle pratiche, dei visti di cui le imprese hanno bisogno per ripartire è rallentato o bloccato dal fatto che ancora non funzionano (o non sono stati neanche avviati) snodi fondamentali, come uffici o piattaforme online. Sono quei "passaggi" necessari per la presentazione, la selezione, la valutazione delle domande, come racconta nel pezzo a fianco Massimo Frontera. Gli «uffici speciali per la ricostruzione» fanno fatica a mettersi in moto e a dare risposte certe e tempestive a imprese e cittadini che chiedono di poter agire in fretta.

Ci sono realtà differenziate a livello regionale (nelle Marche e in Umbria lavorano già sia pure non a pieno ritmo, mentre in Abruzzo deve essere ancora tutto avviato). La piena operatività, però, ancora manca ovunque. Su altri fronti ugualmente strategici per la tempestività degli interventi, come quello dei professionisti necessari per l'asseverazione dei progetti privati, Errani ha promesso a breve un «avviso» che aprirà l'iter di iscrizione obbligatoria dei progettisti a un apposito elenco speciale. In questo modo un altro tappo potrebbe saltare. A complicare questa scacchiera articolata di risposte di buona volontà e di inerzie paralizzanti c'è anche il fatto che, mentre la legge separa sulla carta emergenze di primo intervento e azioni di ricostruzione, drammaticamente la natura le sta mescolando, con una sequenza lunga di scosse (ormai cinque mesi) che costringono emergenza e ricostruzione a convivere in presenza di gravi situazioni di carenze e difficoltà, con sovrapposizioni da una parte e "scoperture" dall'altra che rischiano di diventare molto gravi.


È evidente che c'è qualcosa da mettere a punto. Lo Stato deve poter correggere in corsa, parlare con una voce sola e quella voce deve essere autorevole e responsabile. La politica non può nascondersi dietro le competenze di tecnici e commissari e ci sono momenti in cui deve far sentire la propria voce. Anche sul campo, giorno dopo giorno, finché le criticità non siano risolte.

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