Appalti

Referendum e appalti, rischio contenzioso con l'abrogazione delle norme sulla responsabilità solidale

di Claudio Tucci

Non c’è solo l’articolo 18, con la richiesta di estendere, nei licenziamenti illegittimi, la tutela reale a partire dalle aziende sopra i cinque dipendenti; o la cancellazione tout-court dei voucher: il terzo quesito referendario, promosso dalla Cgil, e su cui la Consulta si pronuncerà sulla legittimità il prossimo 11 gennaio, tocca un altro “tema sensibile” della normativa lavoristica, vale a dire la responsabilità solidale tra committente e appaltatore, con l’obiettivo, se accolto, di far tornare le lancette indietro di diversi anni, esponendo, nuovamente, le imprese a incertezze applicative e a un facile rischio contenzioso (senza peraltro aggiungere nuove tutele a favore dei lavoratori).

Il tema è estremamente delicato: introdotta dal decreto Biagi del 2003 (il Dlgs 276) la responsabilità solidale negli appalti è tutt’oggi vigente, e, con una serie di modifiche normative successive, è, nei fatti, estesa a tutta la catena degli appalti e subappalti (per difendere i lavoratori nei casi di inadempimenti legati al rapporto di impiego, ma anche verso gli enti previdenziali - e al tempo stesso per “spronare” l’impresa committente a scegliere appaltatori seri e solvibili).

Il punto è che fino al 2012 il meccanismo era piuttosto confuso: poteva accadere (anzi nella pratica, succedeva quasi sempre) che il lavoratore per far valere eventuali ragioni creditorie chiamava in giudizio il solo committente, e non il suo datore di lavoro, cioè l’appaltatore; e all’impresa committente veniva preclusa qualsiasi integrazione del contraddittorio, non potendo citare l’appaltatore, né, peraltro, difendersi vista l’impossibilità per il committente di ingerirsi nel rapporto tra lavoratore e appaltatore. E così, finiva che l’impresa madre era tenuta a pagare direttamente il lavoratore, salvo poi agire in rivalsa nei confronti dell’appaltatore (peraltro, già retribuito per la commessa, e magari non più esistente).

A rendersi conto, indirettamente, delle criticità del meccanismo della responsabilità solidale, specie se estesa a tutta la catena degli appalti, fu per primo il decreto Bersani del 2006, ricorda Riccardo Del Punta, ordinario di diritto del Lavoro all’università di Firenze, che previde una procedura alternativa basata sull’acquisizione di documentazione attestante la regolarità contributiva, che se attuata avrebbe fatto venir meno la responsabilità solidale. La norma fu poi abolita qualche tempo dopo; ma l’idea di attenuare questa “responsabilità oggettiva” in capo al committente (molto spesso eccessiva, si pensi, per esempio, che l’eventuale consegna di un Durc in perfetta regola può non escludere che l’appaltatore adoperi lavoratori in nero) è stata ripresa dalla legge Fornero, che, nel 2012, ha introdotto due importanti correttivi: «Da un lato - spiega Arturo Maresca, ordinario di diritto del Lavoro alla Sapienza di Roma - ha concesso alla contrattazione collettiva di derogare alla responsabilità solidale prevedendo metodi e procedure di controllo della regolarità degli appalti, diversi appunto dalla responsabilità solidale; dall’altro, nel processo, ha aperto alla possibilità, per il committente, di chiedere il beneficio della preventiva escussione, in base al quale, cioè, se il giudizio di merito si è concluso con una condanna in solido, il lavoratore è tenuto ad agire in via esecutiva prima sull’appaltatore o contro eventuali subappaltatori, e solo successivamente, se risultano tutti incapienti, nei confronti committente».

Ebbene questa normativa è oggi in vigore, ma il quesito referendario della Cgil punta ad abrogarla: il sindacato guidato da Susanna Camusso chiede infatti, sorprendentemente, di escludere che un Ccnl (vale a dire, un accordo sindacale a livello nazionale) possa derogare il regime di responsabilità solidale negli appalti (ma, paradossalmente, lascia intatta la facoltà di poterlo fare tramite l’articolo 8 della legge Sacconi del 2011), e, in generale, propone di abrogare le modifiche introdotte dalla legge Fornero.

Un eventuale ok a queste richieste, se ammesse dalla Consulta, avrebbe l’effetto di far rivevere l’originaria normativa del 2003, gettando nuovamente nell’incertezza gli operatori.

«Per i lavoratori non cambierebbe nulla visto che già oggi sono sufficientemente tutelati anche dal fondo di garanzia presso l’Inps che assicura le ultime tre retribuzioni e il Tfr maturato - aggiunge il professor Maresca -. Per l’impresa committente, invece, tornerebbe a ledersi il diritto di difesa garantito dalla Costituzione, trovandosi a rispondere anche di ciò che non può conoscere e controllare».

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