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Ricostruzione e flessibilità: l'Europa ha già i fondi per gli interventi anti-terremoto ma non lo sa

di Albero Quadro Curzio

L’Italia è entrata in un autunno politicamente difficile e molto doloroso per i terremoti. Incoraggia l’esemplare comportamento degli italiani delle zone devastate che con grande dignità hanno espresso l’impegno per la ricostruzione. Così come colpisce l’impegno di chi è istituzionalmente titolato a fronteggiare le emergenze sia di chi interviene per volontario solidarismo. Dunque gli italiani possono essere orgogliosi (così come possono esserlo anche per i soccorsi ai migranti) della loro comunità di popolo e istituzioni. Bene ha fatto perciò il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a chiedere che le forze politiche in questa tragedia cerchino la collaborazione costruttiva. Su questo sfondo riflettiamo sui nostri problemi e sui rapporti Italia-Ue.

Italia: ricostruzione e crescita. Sconcerta che la Ue sia invece così fredda nel consentire a Paesi che sono investiti dalle emergenze l’esclusione ampia dal calcolo dei deficit di bilancio delle spese connnesse. Consentirlo sarebbe ragionevole perché le vite e la dignità umana contano più dei vincoli di bilancio. Purtroppo non si tratta però di una soluzione definitiva perché più deficit si ribalta sul debito che poi va corretto. Questo è un problema per l’Italia per l’entità dei costi di ricostruzione, ma anche di prevenzione e la messa in sicurezza, data la nostra vulnerabilità sismica e idrogeologica. Infatti l’intervento che il Governo prefigura si avvicina ad un costo poliennale di circa 5,5 miliardi. Non basteranno ma sono già sufficienti per chiedere ai Governi passati se nel nostro enorme debito pubblico non c’era spazio per la messa in sicurezza.

Tutto si semplificherebbe se la nostra crescita riprendesse con vigore. Anche per non aggravare la sostenibilità del debito, la sfida del Governo italiano per il 2017 e anche 2018 è puntare tutto sulla crescita.

Il ministro Padoan lo ha confermato nella sua audizione presso le commissioni parlamentari per illustrare la legge di bilancio 2017.

Meno tasse sui fattori di produzione e sulle imprese, più investimenti pubblici e privati unitamente alle riforme strutturali che li ostacolano sono i pilastri della legge di bilancio su cui il Governo punta quasi tutto nella consapevolezza che la sfida è ardua. E questo perché il sistema Italia, a fianco di punti di forza, ha anche delle grandi debolezze rilevate, giustamente, dalla Commissione Europea che tuttavia riconosce che il Governo si sta attivando. Un punto di forza dell’economia italiana è certamente la manifattura ma anche questa è stata duramente colpita dalla crisi e necessita di un rilancio fatto da misure varie molte delle quali si trovano nella legge di bilancio in discussione. Nel recente studio del Centro studi Confindustria(CsC) si evidenzia che l’Italia è uscita dalla recessione ma fatica. La crisi (la cui gravità è stata di portata storica anche se molti ancora non lo capiscono) ha lasciato solchi profondi e distruzione di capacità produttiva con il dimezzamento della nostra quota di valore aggiunto manifatturiero su quello mondiale. Ciononostante la nostra manifattura è per valore aggiunto la seconda in Europa (dopo la Germania), la settima al mondo con una quota del 2,3% mentre è ottava per l’export di manufatti. In molti settori l’Italia è prima, seconda o terza su scala mondiale in base al trade performance index (e il posizionamento risulta migliore con il più ampio e approfondito indice Fortis-Corradini). Ma tutto ciò non basta per mettere il nostro Paese in condizioni di sicurezza e di ripresa. Per questo il CsC indica anche una serie di innovazioni endogene che le imprese devono adottare tra cui quelle di far leva sul Made in Italy e su Industria 4.0.

Europa: emergenze e rilancio. Anche l’Europa stenta a uscire dalla crisi avendo una crescita ben più bassa di quella Usa e delle vulnerabilità ben maggiori tra cui quella della frammentazione. Eppure il suo maggiore impegno sembra essere quello per il semestre europeo, il fiscal compact, i conti pubblici. Lo si constata nel caso dell’Italia che, come gli altri Paesi, ha iniziato da poco il suo semestre europeo 2017 con una richiesta di chiarimento della Commissione sul documento programmatico di bilancio. Un terzo di questa lettera è dedicato a chiedere delucidazioni sulle spese eccezionali dovute al sisma e ai migranti senza neppure un cenno, quanto meno per stile, di solidarietà. La risposta di Padoan è stata esaustiva e per ora (malgrado in Italia non pochi sperassero il contrario) non ha avuto repliche da parte della Commissione. Speriamo che a rinforzo della sua risposta Padoan mandi a Bruxelles anche il testo della sua audizione presso le Commissioni parlamentari per chiarire ulteriormente la posizione italiana anche sulle richieste di più deficit per i due eventi eccezionali(migranti e sisma). Il governo italiano, che in due documenti di quest’anno, ha proposto all’Europa un “growth compact”(in febbraio) e un “migration compact” (aprile) dovrebbe adesso proporre un “natural disaster compact”. Pur sapendo che la speranza di vederlo accettato sarebbe minima, tuttavia servirebbe a dimostrare che l’Italia continua a ragionare in una logica europeista e non nazionalista. Il punto di partenza dovrebbe essere il Fondo di solidarietà dell’Unione europea (Fsue) varato nl 2002 per intervenire a sostegno dei Paesi dell’Europa centrale colpiti da inondazioni è stato utilizzato da allora per 72 interventi in 24 Paesi per concorrere alle spese connesse a catastrofi (tra cui inondazioni, incendi forestali, terremoti, tempeste e siccità) con una erogazione totale di quasi 4 miliardi di euro. La struttura del Fondo è buona ma le sue possibilità di intervento sono limitate a soli 500 milioni di euro annui. Invece potrebbe essere potenziato in varie direzioni tra cui quella della concessione di prestiti a lunga scadenza e a tassi agevolati agli Stati (o alle regioni) colpiti da calamità (si pensi che il Fondo Esm ha concesso alla Grecia prestiti a scadenza di 32 anni). Questo richiederebbe un potenziamento del fondo attualmente finanziato sul bilancio europeo (e magari un suo imparentamento al Piano Juncker).

L’Europa a comparti bloccati. Ancora una volta constatiamo che la Ue ha molte strutture valide ma operanti spesso disgiunte e con modesta disponibilità di risorse. L’Italia, celebrando nel 2017 i 60 anni dei Trattati di Roma, dovrebbe proporre maggiori complementarietà e dimensioni. Il dibattito aspro di ieri tra Renzi e Juncker è causato proprio da questa debolezza della Ue che continua a non essere attrezzata per problemi (migranti ed emergenze) che le competerebbero (almeno in buona parte) e ciò porta gli Stati membri a scegliere non la strada migliore ma quella necessaria.

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