Fisco e contabilità

Entrate a caccia dell'Irap non versata dagli studi associati: ecco come muoversi

di Rosanna Acierno

Dopo le pronunce delle Sezioni Unite che escludono l’esonero dall’Irap, numerosi sono gli avvisi che l’Agenzia delle Entrate sta emettendo nei confronti degli studi associati per pretenderne il pagamento dal 2011 e per gli altri anni di imposta ancora accertabili.

Si ricorda, infatti, che con le recenti sentenze a Sezioni Unite n. 7291/2016 e n. 7371/2016, la Corte di Cassazione, basandosi sul dato letterale della norma e ribaltando un precedente orientamento, ha affermato che le associazioni professionali, gli studi associati e le società semplici esercenti attività di lavoro autonomo sono sempre soggetti ad Irap, indipendentemente dalla struttura organizzativa della quale si avvalgono per l’esercizio dell’attività.

Così, richiamando nelle motivazioni dell’atto impositivo il ragionamento dei giudici di legittimità, l’Agenzia delle Entrate determina il valore della produzione netta degli studi associati, accertando di conseguenza l’Irap dovuta, i relativi interessi e le sanzioni per infedele dichiarazione (pari al 90% dell’imposta dovuta).

Ovviamente, la questione è assai rilevante giacché numerosi sono quegli studi associati che, in assenza di un’autonoma organizzazione di strutture e mezzi e di redditi derivanti dal solo lavoro professionale, non hanno versato l’Irap in forza del precedente orientamento giurisprudenziale di legittimità. In tal caso, diverse possono essere le strategie difensive che si possono approntare, anche se tutte in salita.

È, infatti, possibile presentare innanzitutto un’istanza di accertamento con adesione per tentare di ottenere una rideterminazione più bassa del valore della produzione da assoggettare ad Irap. In tal caso, attraverso una memoria, occorrerà dimostrare che lo studio associato non ha sostenuto alcun costo per il personale dipendente e che il reddito conseguito e dichiarato è derivato esclusivamente dall’attività professionale svolta dai singoli professionisti e non dalla struttura (immobili, mobili, macchinari, ecc.).

Qualora l’adesione non vada a buon fine, rimarrebbe comunque la possibilità di impugnare l’atto impositivo al fine di non renderlo definitivo nel caso di un eventuale ripensamento da parte dei giudici di legittimità.

In tal caso, occorrerà contestare, in diritto, l’erroneità dell’accertamento, da un lato evidenziando che lo svolgimento di attività professionale in forma associata rappresenta una mera presunzione dell’esistenza di un’autonoma organizzazione e, dall’altro richiamando la prevalente giurisprudenza di legittimità che ammette comunque la possibilità in capo al contribuente di fornire la prova contraria. Anche nel caso di esercizio dell’attività in forma associata, vi è, infatti, esclusione da Irap se il reddito dichiarato deriva esclusivamente dal lavoro professionale svolto dai singoli associati e non è stato potenziato e derivato dalla struttura (tra le altre, Corte Cassazione, sentenze n. 1662/2015, n. 4578/2015 e n. 27007/2014). Nel merito, invece, occorrerà dimostrare la carenza del requisito dell’autonoma organizzazione. In particolare, anche attraverso la presentazione di bilanci, occorrerà dimostrare che lo studio associato non ha sostenuto alcun costo per il personale dipendente e che il reddito è stato conseguito esclusivamente con l’esercizio dell’attività dei singoli professionisti. A tal fine, potrebbe essere utile far rilevare ad esempio che tra i componenti positivi del reddito dello studio sono stati conteggiati esclusivamente i compensi derivanti da incarichi di componenti del collegio sindacale e/o dallo svolgimento di altre attività strettamente personali e basate su mandati fiduciari.

Infine, in via meramente subordinata potrebbe comunque essere opportuno chiedere, in sede di ricorso, la disapplicazione delle sanzioni per obiettive condizioni di incertezza della norma ai sensi dell’articolo 6 del D. Lgs. n. 472/1997.

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