Appalti

Consiglio di Stato: l'impresa che vince la gara ma rifiuta di firmare il contratto è tenuta a riscarcire la Pa

di Roberto Mangani

L'aggiudicatario definitivo di una gara per l'affidamento di un appalto pubblico che rifiuti la stipula del relativo contratto è tenuto a risarcire il danno subito dall'ente appaltante in conseguenza di tale rifiuto. La misura del risarcimento va quantificata tenuto conto dei maggiori oneri economici che l'ente appaltante deve sopportare a seguito dell'aggiudicazione e della conseguente conclusione del contratto con il secondo classificato, la cui offerta reca evidentemente condizioni economiche peggiorative rispetto a quella dell'originario aggiudicatario.

Sono questi i principi affermati dal Consiglio di Stato, Sez. III, in una recente sentenza n.3755 del 31 agosto 2016, che fa chiarezza sulle conseguenze della mancata stipula del contratto di appalto per ragioni imputabili all'aggiudicatario, con affermazioni che si inseriscono con coerenza nel quadro normativo che regola le fasi della procedura di affidamento, nell'assetto che è stato definito - con significative novità rispetto al passato – dall'articolo 12 del D.lgs. 163/2006 e che è stato sostanzialmente riprodotto nell'articolo 32 del D.lgs. 50/2016.

Il caso
Un ente pubblico aveva indetto una gara per selezionare un istituto di credito con cui stipulare un contratto di mutuo finalizzato a finanziare una serie di spese per investimenti. A conclusione della procedura veniva individuato l'aggiudicatario definitivo, che tuttavia – ricevuta la comunicazione dell'intervenuta aggiudicazione – a sua volta comunicava che non intendeva stipulare il relativo contratto. Ciò anche in relazione alla circostanza che la sua offerta era stata accompagnata da una dichiarazione con cui l'istituto di credito specificava che l'offerta veniva formulata «nelle more dell'approvazione della relativa pratica di affidamento da parte dei competenti organi deliberativi».

A fronte di tale rifiuto l'ente appaltante proponeva ricorso davanti al giudice amministrativo per chiedere la condanna dell'aggiudicatario al risarcimento del danno subito, quantificato nel differenziale tra lo spread indicato nella sua offerta e quello contenuto nell'offerta del secondo classificato con cui l'ente appaltante aveva successivamente stipulato il contratto di mutuo a seguito dello scorrimento della graduatoria.

Il Tar Emilia Romagna, se da un lato ha riconosciuto la sussistenza di una responsabilità dell'aggiudicatario di natura precontrattuale, dall'altro ha tuttavia negato il risarcimento a favore dell'ente appaltante. Ciò sulla base della motivazione secondo cui quest'ultimo non aveva correttamente formulato la domanda risarcitoria, poiché la stessa presupponeva l'intervenuto perfezionamento del vincolo contrattuale tra le parti; mentre l'ente appaltante avrebbe dovuto più propriamente fornire la prova che il fallimento della trattativa con l'originario aggiudicatario aveva precluso la conclusione di un contratto in termini più favorevoli di quelli contenuti nel contratto stipulato con il secondo classificato, rendendo quindi la domanda risarcitoria pienamente coerente con l'affermata natura precontrattuale della responsabilità dell'originario aggiudicatario.

La pronuncia del Consiglio di Stato
Il giudice di secondo grado ha parzialmente modificato le conclusioni del Tar Emilia Romagna, articolando un ragionamento che appare maggiormente ancorato al dato sostanziale rispetto alla mera ricostruzione formale della natura della responsabilità dell'aggiudicatario.
In via preliminare il Consiglio di Stato ha affrontato la questione della sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo in relazione alla fattispecie in esame, che era stata contestata dall'aggiudicatario.
In primo luogo il Consiglio di Stato ha rilevato che da un lato il committente è qualificabile come organismo di diritto pubblico; dall'altro, che il contratto di mutuo rientra nell'ambito dei "servizi bancari e finanziari" elencati nell'Allegato II A del D.lgs. 163/2006, e come tale il relativo affidamento è soggetto a tutte le norme del Codice dei contratti pubblici.
Sulla base di tali presupposti, l'ente appaltante ha doverosamente svolto una procedura ad evidenza pubblica, integralmente disciplinata dalle norme del D.lgs. 163, per l'affidamento del contratto di mutuo in questione.

L'ulteriore conseguenza è che nella fattispecie trova applicazione la previsione contenuta all'articolo 133, lettera e), n.1 del Codice del processo amministrativo, secondo cui sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per tutte le controversie relative alle procedure di affidamento dei contratti pubblici, comprese quelle che attengono a profili di natura risarcitoria. Sulla base di questa previsione legittimamente l'ente appaltante ha agito in giudizio davanti al giudice amministrativo per la tutela di un proprio diritto soggettivo quale appunto quello relativo al preteso risarcimento del danno.

Entrando nel merito, il Consiglio di Stato ha ritenuto che l'aggiudicatario, nel rifiutare di addivenire alla stipula del contratto, abbia commesso un fatto illecito. L'offerta presentata, infatti, si presentava come impegnativa e vincolante, non contenendo alcuna condizione relativa all'eventuale necessaria approvazione degli organi deliberanti dell'istituto di credito. Non poteva assumere rilievo, sotto questo profilo, la dichiarazione separata con cui si precisava che l'offerta era stata presentata «nelle more dell'approvazione della relativa pratica di affidamento da parte dei competenti organi deliberanti».

Tale dichiarazione, infatti, non poteva essere intesa come una condizione dell'offerta in senso proprio, bensì come impegno ad attivarsi affinché la relativa pratica fosse approvata tempestivamente. Va aggiunto – anche se su questo profilo il giudice amministrativo sorvola - che qualora l'offerta fosse stata da considerare effettivamente condizionata nei termini proposti dall'aggiudicatario, la stessa avrebbe dovuto essere esclusa, essendo contraria ai principi generali che regolano lo svolgimento delle gare ad evidenza pubblica la presentazione di un'offerta condizionata, a meno che non vi sia in tal senso una specifica previsione del bando di gara correlata a ipotesi del tutto particolari.

Una volta affermato che la mancata stipula del contratto da parte dell'aggiudicatario costituisce fatto illecito, il giudice amministrativo continua il suo ragionamento sottolineando come nel settore dei contratti pubblici il relativo ordinamento ha da sempre disciplinato l'ipotesi in esame. Fin dalla normativa di contabilità di Stato, infatti, è stata prevista la prestazione di una "cauzione provvisoria" in sede di offerta, proprio a garanzia della serietà della stessa in modo da assicurare l'ente appaltante che l'offerente, se aggiudicatario, non potesse impunemente sottrarsi agli obblighi assunti con l'offerta medesima. Ed infatti, in caso di mancata stipula per fatto dell'aggiudicatario, l'ente appaltante aveva il diritto di incamerare la cauzione provvisoria, fermo restando la facoltà di agire in giudizio per ottenere il risarcimento dell'eventuale maggior danno subito.
Da sempre quindi, a fronte della mancata stipula del contratto da parte dell'aggiudicatario, si è configurata l'esistenza di un danno risarcibile nei confronti dell'ente appaltante. E tale risarcibilità prescinde da qualunque ulteriore approfondimento o discussione in merito alla natura della responsabilità ascrivibile all'aggiudicatario, trattandosi comunque di un obbligo risarcitorio discendente direttamente da un'esplicita previsione normativa.

Quanto alla quantificazione, il danno risarcibile deve essere commisurato o alle spese di indizione di una nuova gara, nel caso in cui non siano state presentate altre offerte nella gara originaria; ovvero nei maggiori oneri economici conseguenti allo "scorrimento", cioè alla stipula del contratto con il concorrente secondo classificato che segue in graduatoria.
E proprio sotto il profilo della quantificazione del danno risarcibile, una giurisprudenza consolidata ha radicato nel tempo principi di massima tutela dell'ente appaltante. È stato infatti affermato che l'ente appaltante ha diritto ad ottenere il risarcimento dell'intero danno subito, anche qualora lo stesso ecceda l'importo della cauzione provvisoria, cui non può quindi essere attribuita la funzione di predeterminazione della liquidazione del danno.
Rifacendosi a tale principio la pronuncia del Consiglio di Stato in commento specifica, in una logica di ulteriore tutela per l'ente appaltante, che il diritto al risarcimento del danno sussiste anche nell'ipotesi – verificatasi nel caso di specie - in cui il bando di gara non abbia previsto la prestazione di una cauzione provvisoria a garanzia della serietà dell'offerta. Di conseguenza l'ente appaltante può comunque agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno subito; l'unica differenza rispetto all'ipotesi in cui il bando abbia previsto la prestazione di una cauzione è che in questo caso l'azione – e la relativa prova – riguarderà l'intera somma di cui si chiede il risarcimento, e non solo la somma eccedente l'importo della cauzione provvisoria.

Quanto alla quantificazione del danno, quest'ultimo va inteso come perdita derivante dal così detto "danno emergente". Di conseguenza, appare corretto che tale quantificazione si basi sul criterio della differenza tra l'offerta dell'originario aggiudicatario – che ha rifiutato la stipula – e quella del secondo classificato. In sostanza, il danno si misura nei maggiori oneri che l'ente appaltante ha dovuto sopportare a seguito della conclusione del contratto a condizioni meno favorevoli di quelle contenute nell'offerta dell'originario aggiudicatario.
Il principio affermato alla luce delle norme che regolano le fasi dell'affidamento. Le affermazioni contenute nella pronuncia del Consiglio di Stato si collocano in maniera pienamente coerente nell'ambito delle norme che regolano le fasi della procedura di affidamento.

Tali previsioni sono state per la prima volta introdotte dall'articolo 12 del D.lgs. 163/2006 e sono poi state riprodotte – in maniera sostanzialmente analoga – nell'articolo 32 del D.lgs. 50/2016. In base ad esse è stato definitivamente superato il principio – in passato affermato dalla normativa di Contabilità di Stato – secondo cui l'aggiudicazione definitiva equivaleva al contratto, per cui la successiva stipula rappresentava un passaggio formale, volto a recepire i contenuti di un vincolo contrattuale che in realtà doveva considerarsi già sorto a seguito dell'intervenuta aggiudicazione definitiva.

Nel nuovo ordinamento è invece esplicitamente precisato che l'aggiudicazione non equivale ad accettazione dell'offerta, ma nel contempo che quest'ultima è da considerare irrevocabile fino alla stipula del contratto (articolo 32, comma 6). Ne consegue che il vincolo negoziale tra ente appaltante e aggiudicatario sorge solamente a seguito della stipula del contratto; ma lo stesso aggiudicatario, avendo presentato un'offerta irrevocabile, se rifiuta di addivenire alla stipula non adempie a un proprio specifico obbligo derivante dalla irrevocabilità dell'offerta e di conseguenza commette un illecito (ancorché di natura non contrattuale) da cui, coerentemente, discende l'obbligo di risarcire il danno subito dall'ente appaltante.

La sentenza n.3755/2016 del Consiglio di Stato

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©