Consiglio di Stato: certificati antimafia anche se l’importo è sotto la soglia
Poiché la pubblica amministrazione può sempre accertare «se l’impresa meriti la “fiducia delle istituzioni”», può richiedere la
I giudici hanno accolto il ricorso del ministero dell’Interno secondo cui, una volta che la Pa chiede la verifica al prefetto, quest’ultimo deve attivarsi anche se l’ammontare considerato non la prevede. E la stessa amministrazione è tenuta a bloccare contratti o contributi se si accerta che l’impresa è “a rischio infiltrazioni” o che non può ottenerli per via di misure di prevenzione personali definitive. Il ministero contestava l’esito del giudizio di primo grado, secondo cui la verifica sui “mini” rapporti con la Pa è «sostanzialmente inutile» poiché, aumentando la quantità degli affari da trattare, verrebbe meno la qualità generale del controllo che in realtà va garantita concentrandosi sui casi economicamente più importanti.
Il collegio ha spiegato che la lettura “rigida” del Tar «sovvertirebbe il principio che impone di assicurare, in sede interpretativa, effettività e concretezza alla tutela del bene protetto, soprattutto laddove, come avviene per le informazioni antimafia, questo assuma un ruolo assolutamente primario». Lo scopo dei dettami sulle soglie di valore è infatti «conformare, anche ai fini delle conseguenti responsabilità, il buon andamento delle attività delle pubbliche amministrazioni procedenti», sia nei casi in cui l’informazione antimafia è d’obbligo sia quando «non è comunque richiesta» o, tra gli altri, per «i provvedimenti gli atti, i contratti e le erogazioni il cui valore complessivo non supera i 150.000 euro» (lettera e, comma 3, articolo 83).
Pure a prescindere dall’eventuale firma di un «protocollo di legalità», in questi casi la richiesta della certificazione prefettizia non può essere vietata: il Codice mira a «evitare radicalmente l'erogazione di risorse pubbliche a soggetti esposti ad infiltrazioni di tipo mafioso, e che pertanto mal tollera che ciò possa avvenire solo entro determinati limiti quantitativi».
Il principio è sempre valido al di là del valore del rapporto. Lo stesso Consiglio di Stato l’ha applicato finora per appalti e contratti con importi sotto le soglie comunitarie come invocato in giudizio dalla ditta interdetta (tra le ultime, la sentenza 2799/2013) - cioè per somme a partire dagli attuali 209mila euro per forniture e servizi nei settori ordinari escludendo gli appalti assegnati dagli enti governativi centrali -, o per incentivi pubblici oltre il limite di 150mila euro (sentenza 3386/2014).