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Terremoto/2. Dall’Ingv a Eucentre, l’«arcipelago» dell’antisismica italiana

di Mariano Maugeri

L’imprinting dell’intero apparato sismologico italiano risale all’autunno del 2001, quando al vertice della Protezione civile si era appena reinsediato Guido Bertolaso, il catastrofologo o, direbbero gli inglesi, il dima, il disaster manager di Palazzo Chigi.

Regnano il Berlusca e Gianni Letta, e Bertolaso è il terzo esponente della sacra triade che attraverserà i disastri più drammatici dei primi dieci anni del nuovo millennio, con una chiusura pirotecnica nel 2008-2009, il biennio che sconvolse il Paese con l’inferno napoletano di monnezzopoli e il terremoto dell’Aquila.

Quando Bertolaso entra nella stanza dei bottoni, esiste solo una struttura che si occupa di terremoti: l’Ing, l’Istituto nazionale di geofisica, al quale il presidente Enzo Boschi, un geofisico bolognese nominato personalmente da Beniamino Andreatta, allora ministro del Tesoro, dopo il terremoto rovinoso dell’Irpinia, aggiungerà qualche tempo dopo la “v” di vulcanologia, annettendo tutti gli osservatori che preesistevano, da Napoli a Catania. Quando si parla di terremoti è Boschi che sale in cattedra. A Bertolaso non piace il protagonismo del professore emiliano. E tra le prime decisioni da plenipotenziario delle catastrofi accentra il ruolo di portavoce nel dipartimento della Protezione civile. Una sola voce per mille disastri.

Il secondo passo è la riorganizzazione della struttura di studio e ricerca contro i terremoti. L’Italia, all’alba del 30 ottobre 2002, quando il crollo del tetto di una scuola di San Giuliano di Puglia, nel Molise, uccide 27 bambini e una maestra, è all’anno zero. Il Friuli e l’Irpinia non hanno insegnato nulla. Peggio, non solo non esiste una mappa sismologica del Paese (si elaborerà di lì a poco), ma l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia è costretto a fronteggiare un campo di battaglia con troppe trincee: dall’Etna che alterna terremoti (Santa Venerina) a eruzioni continue, al sobbollire instancabile dei Campi Flegrei in una delle zone più densamente popolate del pianeta, per finire con le scosse che tormentano l’appennino umbro-marchigiano.

Bertolaso si mette al lavoro e con il suo piglio decisionista s’inventa Eucentre a Pavia, la Fondazione internazionale per la riduzione del rischio sismico, una struttura gemmata dall’università di Pavia, l’Ingv e lo Iuss, una sorta di Normale di Pisa dell’ateneo pavese. A una virata verso nord deve corrispondere un contrappeso al sud. È così che a Napoli, sempre in quegli anni, nasce Reluis, il Consorzio di quattro atenei (Napoli, Pavia, Trento e università della Basilicata) che mette in rete una cinquantina di laboratori di ingegneria sismica sparsi per le università italiane. Un sistema copernicano con i pianeti che dovrebbero ruotare tutti attorno al sole. Dovrebbero, perché il dipartimento Terra e ambiente del Cnr, da cui dipendono l’Igag (l’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria) e il neonato Centro per la microzonazione sismica e le sue applicazioni (CentroMs), venuto alla luce solo nel 2015, seguono le loro traiettorie di ricerca. Il CentroMs sta mappando due dei quattromila Comuni italiani ad alto rischio sismico. E alla fine dei suoi lavori dirà dove costruire è sicuro e dove no. Paolo Messina, direttore dell’Igag, è chiaro: «Ci coordiniamo con Ingv, una serie di istituti Cnr e alcuni atenei italiani. Per il resto siamo indipendenti».

Insomma, l’intero arcipelago di istituti, fondazioni, centri studi e ricerche sui terremoti risponde all’unisono alla chiamata di Palazzo Chigi solo in virtù del loro status di centri di competenza della Protezione civile. Che a sua volta ha un organico di oltre mille dipendenti, con 37 addetti all’ufficio III, quello sul rischio sismico, contro i 76 componenti della segreteria del capo dipartimento, ufficio stampa e relazioni istituzionali. L’eredità della sindrome Bertolaso per la comunicazione?

La struttura alle dipendenze di Palazzo Chigi conferma: «Ci coordiniamo con le altre strutture dedicate nelle emergenze quando operiamo in comune per progetti coerenti con la nostra missione istituzionale, ma ognuno di loro fa riferimento a un ente o un ministero sovraordinato».

L’Ingv, per esempio, fa capo al Miur, il ministero dell’Università e della ricerca scientifica che ne nomina anche il presidente. Un corpaccione con un migliaio di dipendenti e parecchie scosse di assestamento dopo la presidenza Boschi, durata quasi 29 anni: tre presidenti in cinque anni (compreso l’incarico di appena sei mesi del prescelto dalla ministra Mariastella Gelmini) e una valanga di ricorsi al Tar di una parte dei 200 precari, alcuni dei quali avrebbero dovuto essere stabilizzati sulla base di una graduatoria di idonei già stilata.

Bertolaso non c’è più, ma la sua filosofia, neppure cosi machiavellica, era quella di piazzare gli uomini di fiducia nei posti di prima linea. A Eucentre, dopo le dimissioni di Gian Michele Calvi, ex componente della Commissione grandi rischi ai tempi dell’Aquila, è arrivato Vincenzo Spaziante, ex braccio destro del disaster manager di Palazzo Chigi dal 2002 e 2006 ed ex numero due dell’ex governatore della Calabria Agazio Loiero, nonché assessore alla Sanità. Spaziante non ha un bel ricordo della politica: «Ho mollato quando ho cominciato a ricevere i primi proiettili: volevo chiudere i vecchi ospedali contemporaneamente all’apertura dei nuovi, una razionalizzazione che non mi hanno perdonato».

Resta la domanda iniziale: in assenza del suo ideatore, chi mette a fattor comune le strutture che costituiscono la testa di ponte in grado di fronteggiare le mille emergenze italiane? Ci vorrebbe un’Agenzia nazionale per il rischio sismico e vulcanico, dicono molti sottovoce. Sarebbe un primo passo. Il nome di un candidato per il posto di supercapo? Chiedetelo a Bertolaso.

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