Il Commento Appalti

Il crollo sul Lungarno a Firenze: l'indignazione non aiuta a investire sulla sicurezza

di Jacopo Giliberto

Come ai tempi degli etruschi i cui aruspici traevano risposte e certezze dai tuoni e dal volo dei corvi, c’è chi osserva il crollo sul lungarno di Firenze — 250 metri di strada ingluviati alle 6,40 di ieri mattina — per arrivare a conclusioni su argomenti come il referendum del 2011 sull’acqua bene comune, il dissesto idrogeologico, l’inadeguatezza dell’uomo contrapposta alla perfezione della natura, le bollette dell’acquedotto troppo care, il cambiamento del clima e perfino l’architettura istituzionale dello Stato.

Non è ancora chiaro che cosa è accaduto.

Attorno alla mezzanotte la telemetria dell’acquedotto e le segnalazioni degli abitanti hanno segnalato una perdita forte delle condotte; la porzione spezzata di tubatura è stata isolata e chiusa. La mattina, il crollo.

Pare che da tempo gli abitanti del lungarno segnalino acqua nelle cantine (fonte: Lega Nord). Questa minuscola e irrilevabile perdita naturale o di origine umana potrebbe avere trasformato l’argine in mota inconsistente e avere portato al taglio delle condutture. Oppure al contrario una tubazione vecchia di 60 anni si è spezzata e ha generato il crollo.

È stato il crollo a tagliare il tubo o il tubo a minare l’argine? Non si sa ancora, e sarà difficile da capire.

In Italia in media le aziende dell’acqua spendono per tenere in ordine acquedotti e fogne circa 34 euro l’anno per cittadino. A Firenze la Publiacqua investe quasi il doppio, 60 euro. Servirebbero 100 euro a testa l’anno (fonte: Mauro Grassi, fiorentino, direttore di Italia Sicura, il gruppo d’intervento della Presidenza del consiglio contro il dissesto idrogeologico e acquedottistico).

Mentre c’è chi s’indigna contro la “privatizzazione dell’acqua”, gli acquedotti gestiti in modo diretto dai Comuni investono in media per la manutenzione delle condotte 12 ridicoli euro l’anno (fonte: Giovanni Valotti, presidente di Utilitalia).

A titolo di confronto, la media europea è fra gli 80 e i 120 euro l’anno per abitante.

Mentre c’è chi si lamenta delle bollette troppo rapaci sebbene siano le più basse d’Europa, ogni anno agli acquedotti servono almeno 5 miliardi che non ci sono per investire in manutenzione.

E quando i soldi, a fatica, arrivano allora ci si mettono la burocrazia, la magistratura civile penale amministrativa, i sospetti sugli appalti, l’indignazione dei cittadini al primo apparire delle scavatrici. Gli unici che paiono gioire dei lavori sono gli “umarell” che da dietro le transenne controllano lo svolgersi dei lavori.

Il “territorio” è sempre più ferito dall’intervento dell’uomo? La storia dice che nei decenni e nei secoli fango e acqua uccidevano come oggi anzi più di oggi (fonte: Polaris Irpi Cnr).

I corsi d’acqua vengono messi in sicurezza, le abitazioni sono più salde. Ma il clima cambia e l’acqua si fa più cattiva, travolge le difese con più veemenza.

Bisogna investire; non indignarsi contro gli investimenti.