Appalti

Trasparenza, gli obbligi del «Foia» valgono anche per le società partecipate dalla Pa

di Gianni Trovati

I nuovi obblighi di trasparenza introdotti dal primo decreto attuativo della riforma Madia arrivato al traguardo dell’approvazione definitiva si applicano anche alle società controllate dalla pubblica amministrazione e alle partecipate, in questo caso solo per le attività di pubblico interesse. La riforma interessa poi, oltre agli enti pubblici economici e agli ordini professionali, le associazioni, fondazioni e più in generale gli enti di diritto privato che abbiano un bilancio superiore a 500mila euro, un’attività finanziata per la maggior parte da fondi pubblici e tutti i componenti degli organi di amministrazione o di indirizzo designati dalle pubbliche amministrazioni.

A indicare la platea, ampia, investita dai nuovi obblighi di trasparenza è il testo definitivo del Freedom of Information Act («Foia»), che ha terminato a Palazzo Chigi il lavoro di coordinamento formale e ora attende la «bollinatura» della Ragioneria generale prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Le novità più significative del testo finale riguardano la definizione della platea di soggetti interessati direttamente dal «Foia». Per quanto riguarda le società partecipate, che entrano nel raggio di applicazione delle nuove regole di trasparenza solo in relazione «ai dati e ai documenti inerenti all’attività di pubblico interesse», il decreto ospita la definizione più ampia, che rimanda al nuovo testo unico delle partecipate in corso di approvazione sempre nell’ambito della delega sulla Pa, e non prevede l’esclusione esplicita delle aziende per le quali sia già stata deliberata l’alienazione della quota pubblica. La delibera, insomma, non basterà da sola a uscire dal Foia, che di conseguenza escluderà solo le società diventate private a tutti gli effetti. Su associazioni, fondazioni ed enti di diritto privato in genere, invece, la scelta di stringere il campo si spiega con l’obiettivo di non caricare di obblighi soggetti troppo piccoli. Per questa ragione le nuove regole scatteranno solo quando il bilancio supera i 500mila euro, e quando si verificheranno entrambe le condizioni considerate alternative dalle prime ipotesi: il finanziamento pubblico «maggioritario» (per due esercizi consecutivi negli ultimi tre) e la designazione totalitaria da parte della pa dei titolari o dei componenti degli organi di amministrazione o di indirizzo.

Per il resto, rimangono confermate tutte le scelte di fondo annunciate dal consiglio dei ministri, a partire dallo stop al silenzio-rifiuto e dalla «gratuità» delle risposte fornite dagli uffici pubblici con la sola eccezione del «effettivamente sostenuto e documentato dall’amministrazione per la riproduzione su supporti materiali».

Con l’arrivo del «Foia» in Gazzetta Ufficiale partirà la fase transitoria, non breve, riconosciuta alle Pubbliche amministrazioni per riorganizzarsi. In pratica, la trasparenza anglosassone approderà da noi in tre fasi. Da subito, i cittadini potranno “costringere” gli uffici pubblici a pubblicare i dati (per esempio le indennità dei politici) già imposti dai decreti Severino quando sono trascurati dagli enti pubblici. L’«accesso civico», cioè la possibilità di chiedere dati e informazioni ulteriori, debutterà invece sei mesi dopo. Bisognerà invece aspettare un anno per la pubblicazione integrale delle banche dati tenute dalle varie amministrazioni: si tratta, per esempio, dei database sugli incarichi pubblici tenuti dalla Presidenza del Consiglio, di quello sui dipendenti gestito dalla Ragioneria generale, e della nuova banca dati sui bilanci delle amministrazioni pubbliche che sta decollando con la riforma della contabilità di regioni ed enti locali.

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