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Servizi pubblici locali, il Consiglio di Stato cancella la riforma del Tpl

di Gianni Trovati

Dal decreto attuativo della delega Madia sui servizi pubblici il governo è chiamato a cancellare la riforma del trasporto locale, a togliere la possibilità che le reti perdano la proprietà pubblica, a mantenersi fedele alle vecchie regole nei rapporti con i sindacati in caso di trasferimento del personale e a correggere le novità proposte in fatto di tariffe e di "premi" agli affidamenti con gara.Al decreto sui servizi pubblici locali il Consiglio di Stato riserva un parere «positivo» ma accompagnato da condizioni di peso. Anche sul decreto parallelo, quello chiamato a sfoltire la giungla delle società partecipate, i giudici amministrativi avevano concesso un via libera arricchito da una serie di suggerimenti: in questo caso, però, si va più a fondo, e il parere 1075/2016 diffuso ieri chiede al Governo di cancellare dal provvedimento cinque interi articoli e svariati commi, oltre a correggere una serie di altri passaggi.Il giudizio in realtà appare sospeso sul tema più delicato, cioè la compatibilità delle nuove regole con il referendum del 2011 che sotto lo slogan dell'«acqua pubblica» ha cancellato in realtà tutto l'impianto delle "liberalizzazioni" tentate nel 2008. La questione è cruciale perché sull'incompatibilità con le decisioni referendarie era già inciampata la riforma tentata con la manovra estiva 2011, che in realtà si era risolta in una fotocopia delle regole cancellate dal voto ed era quindi stata bocciata dalla sentenza 199/2012 della Corte costituzionale. Proprio in quella sentenza il Consiglio di Stato incontra però una possibile via d'uscita. L'obiettivo del referendum, hanno spiegato nel 2012 i giudici delle leggi, era di evitare che gli affidamenti diretti incontrassero in Italia vincoli più stretti rispetto a quelli dell'ordinamento Ue, tanto è vero che il successo dei «sì» ha determinato l'applicazione diretta delle regole comunitarie. Il nuovo decreto attuativo della riforma Madia, che subordina la possibilità di affidamento diretto a una valutazione di convenienza economica a prescindere dall'assetto azionario (pubblico o privato) della società, «si muove in piena coerenza con l'ordinamento europeo», e anche il fatto che la valutazione sia lasciata all'autonomia degli enti locali «supera indenne una previsione di incostituzionalità». Detto questo, però, il Consiglio di Stato si limita a ricordare che tutto l'impianto «va valutato» in rapporto «agli esiti referendari, che peraltro risalgono ormai a cinque anni or sono»: sulla convenienza economica da esaminare per dare il via libera all'affidamento diretto, poi, il rischio è di affidare alle amministrazioni locali più piccole un compito troppo «complesso» per le loro capacità professionali.I cinque articoli che il Consiglio di Stato chiede direttamente di cancellare perché escono dai confini della delega, invece, abbracciano l'intero capitolo della riforma del trasporto pubblico locale. Il pacchetto, che riscrive le regole sui bacini ottimali in cui articolare il servizio, offre nuovi strumenti per combattere l'evasione tariffaria e introduce il «biglietto trasparente» in cui è indicata la quota di costi a carico degli utenti e quella finanziata con i soldi pubblici, era in effetti stata scritta all'interno di una riforma complessiva del trasporto locale, ma all'ultimo era stata inserita nel decreto Madia nel tentativo di accelerarla. «Non si può», ribatte però nella sostanza il Consiglio di Stato, perché tutta questa parte dedicata specificamente al trasporto «si presenta come asistemica rispetto a un testo unico che tratta i servizi pubblici locali nella loro disciplina generale» e sembrano «in radicale contrasto con i principi e i criteri direttivi» della delega.Spinosa, anche sul piano politico come mostra ancora una volta il referendum e le discussioni che lo hanno seguito, è anche la questione della proprietà pubblica delle reti e degli impianti necessari alla produzione dei servizi pubblici. Oggi l'impossibilità di privatizzare reti e impianti e fissata senza eccezioni dall'articolo 113 del Testo unico degli enti locali. Il decreto, in linea con le regole attuali, spiega che le reti possono essere cedute «a società interamente possedute dall'ente o dagli enti conferenti», ma non vietano più a questa società di venderli a privati, prevedendo in pratica solo il «vincolo all'uso pubblico». I giudici chiedono di reintrodurre il divieto di vendita, e sottolineano in aggiunta i problemi che possono nascere dal vincolo pubblico di reti e impianti già privati: questo «vincolo» andrebbe infatti pagato, ma la riforma deve avvenire «senza oneri per la finanza pubblica». Fuori delega, infine, sono le novità che tagliano le consultazioni sindacali in caso di passaggio dei dipendenti dal vecchio al nuovo affidatario nel servizio idrico e nell'igiene ambientale.

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