Appalti

Il Consiglio di Stato fissa i principi sull'interdittiva antimafia: conta la sostanza

di G.Tr.

Il meccanismo dell’ interdittiva antimafia , che serve a escludere dai rapporti con la Pa e da sussidi o sovvenzioni le imprese in odore di rapporti con la criminalità organizzata, deve badare alla sostanza, e non è quindi vincolata a «formalismi linguistici né a formule sacramentali». Per essere efficace, può anche limitarsi a richiamare sinteticamente i risultati scritti nei provvedimenti dell’autorità giudiziaria, negli atti di indagine o negli accertamenti della Polizia, se questi ultimi spiegano in modo sufficiente il rischio di infiltrazioni.

Su queste basi il Consiglio di Stato, con la sentenza 1743/2016 diffusa ieri, ha bocciato il ricorso di un’impresa campana che aveva già chiesto senza successo al Tar la revisione dell’interdittiva. Nella sentenza, però, i giudici amministrativi fanno di più, e sulla base di una puntuale ricostruzione normativa ricostruisce le regole generali dell’interdittiva, e fissa il principio che si può riassumere con la «prevalenza della sostanza sulla forma».

L’interdittiva, spiegano i giudici, serve a evitare alla Pa rapporti con imprenditori con i quali manca la «fiducia imprescindibile sulla loro affidabilità»: a farla cadere può essere un complesso di elementi, da vicende anomale nella struttura o nella gestione dell’impresa a rapporti di parentela, amicizia, «colleganza» tali da indicare un pericolo verosimile di infiltrazione. Quando ci sono questi elementi, l’interdittiva è efficace.

Il testo della sentenza del Consiglio di Stato

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