Appalti

Appalti, i Rup come project manager: non perdiamo l'occasione della riforma

di Antonio Ortenzi

Con l'entrata in vigore del nuovo codice degli appalti si sono previsti una serie di decreti attuativi che rappresentano, in tema, di soft law quello che prima era il regolamento. Tra gli aspetti più delicati lasciati alla fase di attuazione c'è l'indicazione puntuale dei compiti del Rup e la sua cosiddetta "qualificazione" (articolo 31, comma 5 dello schema di decreto).

Questa potrebbe essere l'occasione giusta per poter evitare di continuare a legiferare sulla figura del responsabile del procedimento sposando quelle buone pratiche che identificano la figura del gestore di progetto denominate di Project management. Sembra però che ancora si sia titubanti verso metodologia volendola accomunare quasi al Bim. Sul punto va rammentato che al contrario del «Building information modelling» che ha visto la luce pochi anni fa ed in Italia se ne inizia a parlare solo ora, la figura del Project manager esiste nel mondo da più di 50 anni e si è evoluta alla pari della tecnologia, delle organizzazioni e delle professionalità. Nel paese ancora non è così.

Eppure guardando in dietro le indicazioni, provenienti da più parti verso la metodologia non mancano.

Partiamo dall'ex Avcp che nella determinazione n. 10/2001 del 23/2/2001, ribadita nella determinazione 10 del 23 aprile 2009, parlando dei problemi in materia di responsabile del procedimento, afferma: «il ruolo del responsabile del procedimento all'interno dell'iter realizzativo dell'opera pubblica è piuttosto quello del project manager e quindi quello di fornire impulso al processo anche avvalendosi di uno staff di supporto. La capacità che si richiede al soggetto è organizzativa e propositiva in misura molto maggiore di quanto non sia la capacità meramente tecnica».

Sulla stessa linea si è posto addirittura il Consiglio di Stato che in un parere su un nuovo regolamento per i lavori del genio militare osservava che «il responsabile del procedimento è la figura centrale del nuovo sistema di realizzazione dei lavori pubblici», presentandosi come «il centro unitario di imputazione delle funzioni di scelta, controllo e vigilanza, essendo stati attribuito al medesimo i compiti di un vero e proprio project manager, sull'esempio di un modulo organizzativo molto diffuso all'estero». (Consiglio di Stato, Sezione consultiva per gli atti normativi 8301/04 del 23/10/2004. Ministero della difesa DPR n. 236 del 15/11/2012).

Oggi in Italia abbiamo anche una norma, la Iso Uni 21500 e tra qualche mese ne uscirà un'altra che definisce i requisiti relativi all'attività professionale del project manager, di equivalenti figure che gestiscono progetti o di altri ruoli organizzativi che svolgono equivalenti funzioni in conformità con la sopra citata Uni Iso 21500.

Risulta in qualche modo curioso che proprio in questo momento non provengano, da parte di chi è incaricato di riscrivere le regole degli appalti, dei segnali verso questa metodologia che nelle sue aree di conoscenza ci insegna tecnicamente a gestire tempi, costi, rischi, qualità ecc, in maniera trasparente. Addirittura nelle aree di conoscenza riguardanti la gestione degli stakeholder di progetto e gestione della comunicazione, questa metodologia sembra andare proprio verso un' altro dei decreti attuativi cioè quello che parla di débat public.
Un passo del genere favorirebbe anche, l'adozione della metodologia da parte dei soggetti economici in quanto, avere nel proprio organico delle figure professionali che sanno gestire la realizzazione di un opera pubblica, potrebbe valere qualche punto in più in fase di offerta economicamente più vantaggiosa.

Sarebbe un'occasione, insomma, per riqualificare la Pa, e di conseguenza l'offerta.

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