Appalti

Servizi pubblici locali, fondi solo per chi riorganizza le gestioni in base a criteri efficienti

di Giuseppe Latour

Finanziamenti pubblici solo per chi riorganizza le gestioni in base a criteri efficienti. E solo in presenza di piani di investimento approvati. Lo stabilisce una delle novità chiave del decreto Madia in materia di servizi pubblici locali, ormai arrivato alla sua versione definitiva, bollinata dalla Ragioneria generale dello Stato. La norma è valida per tutti i servizi pubblici, dai rifiuti alla distribuzione di gas ed energia elettrica, ma sembra scritta pensando soprattutto a una situazione: quella dell'acqua. È qui che, secondo i dati diffusi nei giorni scorsi dall'unità di missione di Palazzo Chigi, i gestori sono cronicamente incapaci di spendere risorse pubbliche regolarmente stanziate. Sul piatto, al momento, ci sono 3,3 miliardi fermi, soprattutto al Sud. Così, per il futuro, chi si aggrega, si riorganizza o rispetta i parametri di qualità dell'Authority di settore sarà premiato.

«L'articolo 33 – spiega la relazione di accompagnamento al decreto – reca misure di premialità dirette a favorire la concorrenza per l'affidamento dei servizi da parte di Regioni, Province e Comuni o degli enti di governo locali dell'ambito o del bacino». In sostanza, l'obiettivo è favorire la riorganizzazione delle gestioni e gli accorpamenti di tutti i servizi pubblici locali. La novità chiave è contenuta al comma 2. I finanziamenti pubblici concessi a qualsiasi titolo per i servizi pubblici locali di interesse economico generale «sono attribuiti agli enti di governo degli ambiti o dei bacini territoriali ottimali ovvero ai relativi gestori del servizio», solo se questi rispettano una serie di condizioni.

Le risorse, infatti, saranno «prioritariamente assegnate ai gestori selezionati tramite procedura di gara ad evidenza pubblica o di cui comunque l'Autorità di regolazione competente attesti l'efficienza gestionale e la qualità del servizio resto». In alternativa, la priorità sarà data ai soggetti che abbiano «deliberato operazioni di aggregazione societaria». Quindi, i fondi pubblici andranno prima in quelle zone dove i servizi sono stati affidati con gara, dove ci sono state operazioni di fusione oppure dove, anche in mancanza di queste condizioni, siano rispettati i criteri di qualità fissati dall'Autorità di settore, la nuova Autorità per l'energia elettrica, il gas, l'acqua e i rifiuti.

Per capire il motivo dell'intervento, basta guardare a quello che è successo negli ultimi anni in materia di acqua, secondo i numeri pubblicati dall'Unità di missione di Palazzo Chigi, Italia Sicura. Il gruppo di lavoro guidato da Mauro Grassi ha verificato che, nelle banche dati del Governo, ci sono 3,3 miliardi di risorse mai spese, assegnate per investimenti dedicati principalmente a fognature e depurazione: sarebbero dovute servire soprattutto a superare le procedure di infrazione avviate da Bruxelles nei nostri confronti.

La ragione di questa lentezza è da ricercare proprio nel ritardo con il quale in queste zone è stata effettuata la riorganizzazione dei servizi idrici, che in base allo Sblocca Italia avrebbe dovuto portare alla costituzione degli enti di Governo e poi all'affidamento delle gestioni a soggetti unici per ogni ambito ottimale. Le regioni più in ritardo sono Sicilia, Campania, Calabria e Molise, che avevano già ricevuto a maggio scorso una diffida da Palazzo Chigi per legiferare sul tema delle gestioni, pena il commissariamento. A quel tempo, infatti, le quattro Regioni non avevano neanche individuato i confini degli ambiti ottimali. Ad oggi sono in via di costituzione gli enti di Governo, ma l'obiettivo dell'affidamento della gestione è ancora lontano. Soprattutto la situazione della Sicilia resta drammatica. Dove non ci sono gestioni riorganizzate restano in piedi i vecchi affidamenti in economia, a livello di singolo Comune. Qui, di fatto, risulta impossibile spendere le risorse pubbliche.

L'articolo 33 del decreto sui servizi pubblici locali, allora, agisce esattamente su questo punto. Premiando le gestioni efficienti, ma non solo. I finanziamenti pubblici, inclusi quelli europei, dovranno essere infatti collegati a «piani di investimento approvati» dagli enti di Governo dell'ambito. Lo Stato, allora, prima di mettere sul piatto dei soldi dovrà avere un interlocutore credibile che possa fornire un'indicazione precisa sulla destinazione del denaro.

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