Appalti

Per le costruzioni otto anni devastanti: sparite 80mila imprese e licenziati 502 mila operai

di Massimo Frontera

Tra il 2008 e quest'anno il settore delle costruzioni è parecchio dimagrito; ma non è per niente in forma. L'impatto sul tessuto delle piccole e medie imprese è stato devastante. I primi spiragli di ripresa - confermati anche dal recente dato Istat sulla produzione edilizia di dicembre 2015 (+0,6%) - hanno trovato sul terreno morti e feriti.

Il centro studi dell'Ance, l'associazione nazionale delle imprese edili, ha da poco fatto i conti della crisi. Un bilancio che è un vero bollettino di guerra. Tra il 2008 e il 2013, sono «uscite dal sistema» (cioè defunte) 79.972 imprese, valore che «corrisponde a un calo del -12,7%». Nello stesso periodo «il settore delle costruzioni ha perso 502mila posti di lavoro (-25,3%)», contando soltanto gli operai dentro i cantieri. Ma se si contano anche i licenziamenti delle imprese del cosiddetto indotto - cioè chi fabbrica pannelli, cemento, vernici eccetera - si sale a 780mila persone. C'è poi un ulteriore dato "di nicchia", sempre elaborato dall'Ance, che riguarda i fallimenti, il cui flusso è stato continuo e robusto. Tra il 2009 e il primo semestre del 2015 ci sono state 18.507 imprese che sono entrate in procedura fallimentare. Il picco negativo è stato raggiunto nel 2014, con 3.486 fallimenti di imprese edili.

Nella prima metà del 2015 sono già 1.666. Un'ecatombe, appunto, aggravata dal malcostume dei ritardati pagamenti - le imprese devono ancora avere 8 miliardi per lavori eseguiti - fenomeno che non è stato affatto debellato dalle norme europee più stringenti entrate in vigore dal primo gennaio 2013. Dunque, una vera via crucis per le imprese.La crisi ha avuto invece un impatto più morbido sulle grandi società - cioè la ristretta lista dei big, con in vetta il campione nazionale Salini-Impregilo. I grossi gruppi hanno saputo meglio dei piccoli attuare strategie difensive. L'export è la più appariscente.

I numeri che si leggono sulle Classifiche Italia di «Edilizia e Territorio» (sugli ultimi bilanci annuali approvati delle prime 50 imprese italiane) parlano da soli: il fatturato estero ha raggiunto quota 10,6 miliardi (+9,7%) mentre il fatturato Italia si è fermato a 8,4 miliardi (-6,1%). Detto in altri termini: i big hanno lavorato più all'estero che in casa (55,9% contro 44,1%). La buona notizia, come si diceva, arriva dall'Istat, che a dicembre ha registrato la seconda crescita tendenziale consecutiva. Mai accaduto dal 2010. La luce in fondo al tunnel.

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