Appalti

Delrio: sì al Bim obbligatorio, al via tra un anno dopo la fase transitoria

di Giuseppe Latour

Una fase transitoria di 12/14 mesi. Dopo la quale le opere sopra la soglia comunitaria (5,2 milioni di euro) dovranno utilizzare obbligatoriamente il Bim. È questo il sistema che sta studiando il Governo, secondo quanto ha spiegato ieri il ministro della Infrastrutture Graziano Delrio, nel corso di un convegno alla Camera sulla transizione digitale nel settore delle costruzioni. Il nuovo assetto, inserito nel Codice appalti in arrivo, lascia però qualche dubbio tra gli operatori. Non piace alle società di ingegneria dell'Oice, che lo giudicano una fuga in avanti eccessiva rispetto alla preparazione delle nostre stazioni appaltanti. Ma non piace nemmeno agli esperti del settore: per il gruppo del Politecnico di Milano, già attivo da anni sul tema, prima di utilizzare il Bim bisogna lavorare sulla digitalizzazione di tutta la filiera, mettendo a punto delle linee guida di supporto alle amministrazioni.

Queste novità si inseriscono nella volata conclusiva in corso per l'approvazione del Codice. Dopo che la commissione guidata dal capo dell'ufficio legislativo di Palazzo Chigi, Antonella Manzione ha chiuso i suoi incontri, ci sono ancora ultime limature da portare al testo. Così, rispetto a quanto trapelato negli ultimi giorni, i tempi si sono leggermente dilatati: il testo non andrà in Consiglio dei ministri oggi ma la prossima settimana. «Faremo presto – ha spiegato Delrio – stiamo letteralmente lavorando giorno e notte per chiudere il testo».

Proprio il Bim compare tra i capitoli più delicati del provvedimento. Si tratta di una piattaforma di progettazione che consente, tramite software, di condividere e anticipare gli "effetti" del progetto in cantiere, riducendo gli imprevisti che comportano la lievitazione dei costi. Un sistema dal quale Delrio si aspetta molto: «È un'innovazione tecnologica in grado di rendere il progetto meno oneroso e le spese più prevedibili. Dobbiamo essere coraggiosi nel suo utilizzo». Per questo, il Codice allo studio si appresta a portare una piccola rivoluzione. «Daremo un tempo congruo, una fase di adattamento a imprese e stazioni appaltanti, ma dopo 12-14 mesi di sperimentazione bisognerà partire». Insomma, dopo un anno di transizione dovrà essere impiegato per tutti gli appalti sopra la soglia comunitaria (5,2 milioni di euro per i lavori).

La partita non è semplice come potrebbe sembrare. Da parte degli operatori, infatti, c'è qualche dubbio sulla capacità che stazioni appaltanti e imprese avranno di attuare questo cambiamento in tempi così brevi. «Ci sembra difficile partire senza standard definiti a livello europeo – spiega Andrea Mascolini, direttore generale dell'Oice -. Bisogna prima mettere a punto, a livello nazionale, linee guida che possano essere utilizzate dalle stazioni appaltanti. Altrimenti, rischiamo di andare incontro a un flop. Anche perché un obbligo per le opere pubbliche, in questi termini, non esiste in nessuna parte d'Europa».

Angelo Ciribini, professore dell'università di Brescia, condivide questo approccio: «Un obbligo posto in questi termini è sconsigliabile. Il mercato italiano non è assolutamente maturo. Per la verità, non è maturo nemmeno in altri paesi europei che hanno percorsi avviati in maniera molto più strutturata del nostro». La questione non riguarda solo l'utilizzo di un software, ma una «riorganizzazione tecnologica, culturale, organizzativa e finanziaria del settore», spiega il professore. Quindi, il percorso da compiere è ancora lungo. Per Giuseppe Di Giuda del Politecnico di Milano, «bisogna fare molto attenzione agli step intermedi, alla fase di sperimentazione». Andranno, quindi, create «delle linee guida che, però, non potranno essere standard, perché il Bim non può essere uguale per tutti. Partendo da quelle, ogni committente potrà creare il suo Bim, adattandolo al proprio modello di gestione».

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