Appalti

Accelerazione delle opere, pieni poteri al premier solo in caso di inerzie statali

di Roberto Mangani

Uno dei decreti di attuazione della riforma della pubblica amministrazione individua un meccanismo per superare, in funzione acceleratoria e semplificatoria, l'inerzia dell'ente titolare del procedimento amministrativo relativo all'attuazione di determinate iniziative.
Due sono gli aspetti su cui si interviene per raggiungere l'obiettivo: la riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi e il potere sostitutivo in caso di inutile decorso di detti termini.

L'ambito applicativo delle nuove norme e l'iter procedurale
Le nuove norme si applicano ai procedimenti amministrativi riguardanti quattro ambiti ben definiti: rilevanti insediamenti produttivi, opere di interesse generale, avvio di attività imprenditoriali suscettibili di avere positivi effetti sull'economia o sull'occupazione e infrastrutture strategiche e insediamenti produttivi della legge obiettivo (articolo 1, commi 1 e 3).
I procedimenti amministrativi interessati sono tutti quelli finalizzati al rilascio di autorizzazioni, licenze, concessioni, permessi necessari per la localizzazione e realizzazione delle opere, lo stabilimento di insediamenti produttivi e l'esercizio delle attività, compresi quelli relativi agli interessi così detti sensibili, cioè riguardanti la tutela ambientale, paesaggistico – territoriale, del patrimonio storico – artistico, della salute e della pubblica incolumità (comma 2).

Per la concreta individuazione degli specifici interventi che, rientrando negli ambiti sopra delineati, sono soggetti alle norme semplificatorie viene individuato all'articolo 3 un percorso procedurale – da attivare annualmente - che si basa sul contributo coordinato del livello locale (enti territoriali) e centrale (Presidenza del Consiglio dei Ministri).
Tale percorso prende avvio da un elenco di progetti strategici che vengono individuati entro il 31 gennaio di ogni anno da ciascun ente territoriale, già ricompresi nel programma triennale delle opere pubbliche o in altri strumenti di programmazione. Per gli interventi individuati l'ente territoriale è tenuto a redigere una specifica analisi di valutazione dell'impatto economico e sociale degli stessi (comma 1). Tale elenco può essere integrato entro il 28 febbraio su iniziativa della Presidenza del Consiglio dei ministri, anche su segnalazione del soggetto promotore del relativo intervento (comma 2).

Infine, entro il 31 marzo viene emanato un Dpcm, previa delibera del Consiglio dei ministri, che individua i singoli interventi cui si applicano le norme semplificatorie, sulla base di una motivazione che tenga conto dell'analisi in merito alla valutazione in ordine all'impatto economico e sociale degli stessi (comma 3).

Tale Dpcm delimita anche in concreto l'ampiezza delle norme derogatorie, specificando cioè se esse si applicano a tutti o solo ad alcuni dei procedimenti amministrativi coinvolti nell'attuazione delle singole iniziative individuate (comma 4).

Gli effetti delle norme semplificatorie
Gli effetti conseguenti all'inserimento delle iniziative nel Dpcm sono sostanzialmente di due tipi.

Il primo è di natura acceleratoria. Viene infatti previsto che il medesimo Dpcm può ridurre fino a un massimo del 50% i termini di conclusione - di tutti o solo di alcuni dei relativi procedimenti amministrativi - previsti in via ordinaria dall'articolo 2 della legge 241/90. Al riguardo va ricordato che tale ultima disposizione stabilisce in linea generale un termine massimo di 90 giorni per la conclusione dei singoli procedimenti, rinviando però a singoli Dpcm – che sono stati successivamente emanati su proposta dei ministri competenti – la fissazione di specifici termini relativi ai procedimenti di competenza delle amministrazioni statali.

In tema di termini conclusivi dei procedimenti amministrativi, va anche ricordata la previsione relativa allo svolgimento della conferenza di servizi, che ad oggi fissa il termine generale per la conclusione della stessa in 90 giorni dall'avvio (termine che un altro dei decreti di attuazione della riforma della pubblica amministrazione riduce a 60 giorni).

Il secondo effetto derivante dall'applicazione delle nuove norme riguarda il potere sostitutivo in capo al Presidente del Consiglio dei ministri. L'articolo 4 stabilisce infatti che in caso di decorso del termine fissato senza che l'ente titolare del procedimento amministrativo abbia emesso il provvedimento di sua competenza (autorizzazione, licenza, permesso, etc.) può intervenire il Presidente del Consiglio dei ministri, adottando in funzione sostitutiva il relativo atto.

Il successivo articolo 5 stabilisce poi che nel caso in cui l'intervento coinvolga in via esclusiva o prevalente il territorio di una regione, di un comune o di una città metropolitana, senza che sussista un interesse nazionale alla realizzazione dell'opera, il potere sostitutivo viene delegato di regola al presidente della regione o al sindaco interessato (comma 1). Quando invece l'intervento coinvolga le competenze di regioni ed enti locali – e in mancanza di un preminente interesse nazionale alla realizzazione dell'opera - il potere sostitutivo andrà esercitato secondo modalità da definire previa intesa in Conferenza unificata Stato–Regioni di cui all'articolo 9 del D.lgs. 281/97.

Il potere sostitutivo alla luce dei principi sanciti dalla Corte Costituzionale
L'esercizio del potere sostitutivo è senza dubbio il punto maggiormente critico del nuovo intervento normativo. In primo luogo esso si intreccia con il meccanismo di superamento del dissenso manifestato in sede di conferenza di servizi da uno degli enti competenti al rilascio dei provvedimenti richiesti per la conclusione della stessa.

Tale meccanismo è attualmente previsto dall'articolo 14 – quater, comma 3 della legge 241/90, anche se novità sono in arrivo con gli altri decreti di attuazione della riforma della pubblica amministrazione. Ad oggi, il meccanismo si articola lungo un iter complesso così riassumibile. In caso di dissenso motivato espresso da un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico - territoriale, del patrimonio storico artistico o della salute la questione è sottoposta all'attenzione del Consiglio dei ministri.
Il Consiglio dei ministri si esprime entro i successivi sessanta giorni acquisendo le seguenti intese:
- se il dissenso è tra un'amministrazione statale e una regionale o tra due amministrazioni regionali, l'intesa deve essere raggiunta con le regioni interessate;
-s e il dissenso è tra un'amministrazione statale o regionale e uno o più enti locali, l'intesa deve essere raggiunta con la Regione e gli enti locali interessati.

Qualora trascorrano ulteriori trenta giorni senza che l'intesa venga raggiunta, la deliberazione del Consiglio dei ministri può essere comunque adottata. Tuttavia, se il dissenso è espresso da una Regione o Provincia autonoma in una delle materie di propria competenza, nei successivi trenta giorni viene indetta una riunione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri con la partecipazione della regione o della provincia autonoma – nonché degli enti locali e delle altre amministrazioni interessate – ai fini del raggiungimento di un'intesa. Se l'intesa non viene raggiunta negli ulteriori successivi trenta giorni, è indetta una seconda riunione. Se anche tale seconda riunione non ha buon esito, sono previste ulteriori trattative per individuare e possibilmente risolvere i punti di persistente dissenso. Nell'ipotesi in cui anche tali trattative non abbiano buon esito, la deliberazione del Consiglio dei ministri può comunque essere adottata, nell'esercizio del potere sostitutivo, con la partecipazione dei presidenti delle regioni o delle province autonome interessate.

Questo meccanismo di superamento del dissenso si fonda quindi sul principio di leale collaborazione tra Stato da un lato e regioni e enti locali dall'altro, che il legislatore ha esplicitamente richiamato per legittimare la disciplina introdotta.

Occorre quindi chiarire in che rapporti si ponga il potere sostitutivo previsto dalle nuove norme con il complesso meccanismo di superamento del dissenso in sede di conferenza di servizi appena descritto.

Si deve osservare che il potere sostitutivo in capo al Presidente del Consiglio dei ministri è previsto non per l'ipotesi in cui l'ente competente abbia manifestato il proprio dissenso bensì in quella in cui quest'ultimo non si sia proprio pronunciato. L'ambito applicativo della nuova disposizione è quindi diverso da quello proprio della disciplina sulla conferenza di servizi. Tuttavia un collegamento tra le due discipline ben può esservi, posto che il mancato pronunciamento dell'ente può riguardare un provvedimento da emanare nell'ambito della conferenza di servizi cui esso sia chiamato a partecipare.

Ciò detto, va ricordato che proprio con riferimento al superamento del dissenso manifestato in sede di conferenza di servizi da uno o più degli enti partecipanti, la Corte Costituzionale, con la nota sentenza 11 luglio 2012, n. 179, ha sancito l'illegittimità costituzionale della disposizione che prevedeva, in caso di dissenso manifestato da una Regione o Provincia autonoma in una materia di propria competenza, la possibilità che il Consiglio dei ministri deliberasse nell'esercizio di un potere sostitutivo entro i trenta giorni successivi, sia pure con la partecipazione dei presidenti delle regioni o delle province interessate. Ciò sulla base della considerazione che l'esercizio del potere sostitutivo deve comunque essere preceduto da prescrizioni dirette a consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze emerse.

Occorre quindi verificare se il potere sostitutivo nei termini previsti dagli articoli 4 e 5 del nuovo Dpr possa ritenersi in linea con le indicazioni della Corte Costituzionale. Tale verifica non può essere elusa alla luce della circostanza che il potere sostitutivo previsto dalle nuove norme opererebbe non in relazione ad un dissenso manifesto quanto rispetto ad un'inerzia dell'ente competente. Occorre infatti considerare che in ogni caso tale potere sostitutivo si traduce nell'emanazione di un provvedimento che sarebbe di competenza di un altro ente, con una conseguente sostituzione dello stesso nell'esercizio delle relative competenze. Qualora quindi queste competenze siano nella titolarità di una Regione o Provincia autonoma, occorre verificare se la nuova norma possa considerarsi in linea con le indicazioni della Corte Costituzionale.

Nella richiamata sentenza 179/2012 è stato sottolineato – richiamando peraltro precedenti pronunce della stessa Corte - che l'esercizio del potere sostitutivo in materie affidate alla competenza regionale, per essere legittimo, presuppone che tra Stato e Regione vi sia un'intesa «in senso forte», che deve cioè trovare espressione «in atti a struttura necessariamente bilaterale, come tali non superabili con decisione unilaterale di una delle parti».

In attuazione di questo principio, nella medesima pronuncia viene richiamata l'affermazione – anch'essa ripetuta in numerose sentenze della giudice delle leggi – secondo cui «la previsione dell'intesa, imposta dal principio di leale collaborazione, implica che non sia legittima una norma contenente una drastica previsione della decisività della volontà di una sola parte, in caso di dissenso, ma che siano necessarie idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze». Di conseguenza, quando «l'intervento unilaterale dello Stato viene prefigurato come mera conseguenza automatica del mancato raggiungimento dell'intesa, è violato il principio di leale collaborazione con conseguente sacrificio delle sfere di competenza regionale».

Si deve ritenere che proprio per tenere conto di tali indicazioni l'articolo 5 del nuovo Dpr stabilisce che qualora l'intervento coinvolga le competenze delle regioni e degli enti locali le modalità di esercizio del potere sostitutivo sono determinate previa intesa da assumere in sede di Conferenza unificata Stato - Regioni.

Ciò significa, nei fatti, che qualora l'inerzia all'assunzione di un determinato provvedimento provenga da un ente titolare di una competenza regionale, il potere sostitutivo non potrà essere esercitato in maniera autonoma e automatica dal Presidente del Consiglio dei ministri, ma dovrà passare per un'intesa con la Regione interessata da raggiungere in sede di Conferenza unificata.

Tale intesa – secondo l'eccezione prevista dalla medesima norma - potrà essere evitata solo nell'ipotesi in cui sussista un preminente interesse nazionale alla realizzazione dell'opera.
Al di là di qualche dubbio in relazione a quest'ultimo riferimento al «preminente interesse nazionale», si deve ritenere che la soluzione individuata nel nuovo Dpr sia coerente con le indicazioni della Corte Costituzionale.

Si deve tuttavia rilevare che, nonostante si tratti di una scelta che nell'attuale quadro ordinamentale appare obbligata per evitare il rischio di illegittimità costituzionale della norma, essa depotenzia la portata del potere sostitutivo del Presidente del Consiglio dei ministri. Tale potere, infatti, può esplicarsi in maniera piena e incondizionata per superare l'inerzia di un ente appartenente dell'amministrazione statale, ma resta invece sottoposto alla necessaria condivisione con le Regioni interessate nel caso in cui esso venga a incidere su provvedimenti riconducibili a competenze proprie di queste ultime.

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