Appalti

Riforma Pa/5. Paletti più rigidi sugli affidamenti in house tra Pa, in campo Anticorruzione e Antitrust

di Gianni Trovati

Per l’in house arriva l’adesione piena alle regole europee (che in pratica considerano gli affidamenti diretti come una via eccezionale da percorrere quando non ci sono le condizioni per il mercato), l’obbligo di certificare la sussistenza di queste condizioni, il controllo dell’Antitrust e, per tutti gli affidamenti in corso, l’obbligo di attestare con delibera il rispetto delle nuove regole. Per chi non lo fa entro sei mesi, con una sanzione che ribalta sulla società le conseguenze dell’inerzia dell’amministrazione, è prevista la cessazione automatica dell’affidamento.

Oltre a sfoltire la «giungla» delle partecipate evocata a suo tempo da Cottarelli, la riforma dei servizi pubblici prova a scardinare le maglie degli affidamenti diretti, aprendo il più possibile nuovi spazi alla concorrenza. L’allineamento alle regole Ue, campo in cui il nuovo testo unico si coordina con le direttive appalti, riprende la «regola dell’80%», in base alla quale si può essere titolari di affidamento diretto anche se due decimi dell’attività sono svolti con altre amministrazioni; per potenziare infrastrutture e servizi, i titolari di affidamento in house potranno aprirsi al capitale privato, che non potrà comunque avere «un’influenza determinante»

Ma sono le condizioni generali di contesto a mettere il freno all’in house. La verifica andrà condotta sulla base di un provvedimento-tipo, che sarà costruito dall’Anac. Per far partire l’affidamento diretto, o per consentirne la sopravvivenza, bisognerà dar conto delle ragioni della scelta, in linea con i parametri Ue, specificare i motivi del mancato ricorso alla gara, oltre al piano economico-finanziario asseverato su costi e ricavi, investimenti e finanziamenti. Su questi provvedimenti, che vanno inviati alla Corte dei conti e all’osservatorio sui servizi pubblici locali presso Palazzo Chigi, l’Antitrust potrà contestare le violazioni alle regole della concorrenza e, in caso di mancato adeguamento entro 60 giorni, potrà fare ricorso.

Se la parola d’ordine del testo unico sui servizi pubblici è la riduzione degli affidamenti diretti, il cuore del provvedimento parallelo sulle società partecipate è ovviamente la riduzione del numero di aziende. Anche in questo caso, la prima scadenza è fissata a sei mesi dall’entrata in vigore della riforma: entro quella data, le Pa dovranno scrivere un piano straordinario di razionalizzazione, che a differenza del suo antenato previsto nella manovra dell’anno scorso è vincolante. Il piano dovrà infatti imporre l’alienazione delle società che non rientrano nei nuovi parametri, in base ai quali nelle bozze circolate finora rientrano solo Spa e Srl (anche se si è lavorato sull’ipotesi di prevedere altre forme). Servizi di interesse generale, opere pubbliche, beni e servizi strumentali e committenza per enti senza scopo di lucro sono i rami di attività ammessi, e i piani non potranno lasciare spazio alle società doppione e alle mini-aziende. Il testo finale prevederà infatti una soglia di fatturato, e chi nella media degli ultimi tre anni non l’ha raggiunta dovrà chiudere.

Per gestire queste alienazioni, che andranno completate entro un anno dal piano (quindi entro 18 mesi dall’entrata in vigore), si prevede una replica del “modello Province” con gli elenchi degli esuberi delle società controllate e il blocco delle assunzioni dall’esterno, salvo eccezioni per i profili assenti (si veda Il Sole 24 Ore di ieri).

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