Appalti

Classifiche: si allarga la distanza tra grandi e piccoli, tra salvati e falliti, tra internazionalizzati e nostrani

di Alessandro Arona

Lo «Speciale Classifiche» 2015 di Edilizia e Territorio (curato come sempre da Aldo Norsa, allegato al settimanale e scaricabile on line) conferma anche quest'anno la progressiva divaricazione nell'offerta delle imprese di costruzione tra "sopravvissuti" e "falliti", tra grandi e piccoli, tra internazionalizzati e "domestici".
Sull'ultimo aspetto, i lavori all'estero, i dati degli ultimi bilanci (il 2014) e l'analisi di Norsa evidenziano qualche contraddizione, ma il trend di fondo è confermato: l'estero resta il fattore chiave che ha permesso alle grandi imprese di costruzione italiane di assorbire la crisi sul mercato interno e continuare a crescere e fare profitti anche negli ultimi anni.

SI VEDA IL GRAFICO DI SINTESI

La divaricazione tra sopravvissuti e falliti è netta. Dal 2008 al 2014 nelle classifiche per fatturato delle prime 50 imprese di costruzione (45 generali e le Top 5 specialistiche) il ricambio ha riguardato quasi la metà della lista: sono uscite, in gran parte per crisi conclamata o fallimento, nove cooperative (Cesi, Cmr, Consorzio Etruria, Cooperativa Muratori Reggiolo, Iter, Orion, e nell'ultimo anno sono andate in crisi Acmar, Cooperativa di Costruzioni e Coopsette) e 14 imprese generali (Bentini, Btp, Carena, Consta, Dec, Edimo Holding, Gdm, Impresa, Matarrese, Rosso, Sigenco, Zh, e le specialistiche Ghizzoni e Seli).
Se guardiamo invece il vertice delle classifiche i nomi sono gli stessi di sei anni fa, naturalmente con la fusione (operativa nel 2014) tra Salini e Impregilo: oltre a loro Astaldi, Condotte, Pizzarotti, Cmc, al vertice, e le medio-grandi Itinera, Grandi Lavori Fincosit, Ghella, Rizzani de Eccher, Maltauro, Mantovani, Cmb. Rispetto agli anni prima della crisi (2007-2008) spiccano soprattutto le ascese di Tecnis (nel 2007 era 45esima, ora è al numero 15) e Colombo costruzioni (era 44esima, ora è al n. 16).
A essere scomparso è però soprattutto il tessuto di imprese medio-grandi, di livello nazionale o interregionale, soggetti come Baldassini Tognozzi, Carena, Matarrese, Consorzio Etruria, Dec. Al loro posto sono entrati dei "nanetti".

Intendiamoci: oltre alle "nuove grandi" Colombo e Tecnis, citate sopra, ci sono realtà anche interessanti, che hanno saputo crescere proprio negli anni della crisi, e lavorando soprattutto sul mercato interno, come la bresciana Vezzola (n. 35 in classifica, fatturato da 35 a 85 milioni in 4 anni, ma portafoglio modesto), la milanese Vitali (da 54 a 70 milioni, e un portafoglio lavori imponente), la barese Aleandri (da 45 a 70 milioni e un portafoglio ordini che per la prma vota contiene anche commesse estere), la torinese Gilardi (da 51 a 63 milioni e bilanci sempre in utile); in più c'è la Piacentini costruzioni, impresa storica specializzata nel settore delle palancole e delle paratie metalliche che è cresciuta negli ultimi anni da 38 a 77 milioni grazie ai lavori all'estero.

Ci sono dunque casi interessanti di imprese medio-piccole che crescono, ma se guardiamo i numeri generali della Top 45 delle imprese di costruzione (teniamo fuori per coerenza le specialistiche) vediamo che dieci anni fa (bilanci 2005) il fatturato complessivo era di 14,5 miliardi, mentre da alcuni anni viaggia sopra i 19 miliardi, con una crescita in gran parte concentrata nei lavori all'estero. Nel 2005 l'ultima impresa in classifica fatturava 94,6 milioni di euro, numero che con dieci anni di inflazione diventa circa 110 milioni, mentre oggi l'impresa numero 45 vale 57,8 milioni.

Altro dato: nel 2005 il fatturato delle prime 10 imprese valeva 7.711 milioni, 6,25 volte più del fatturato delle ultime 10 (1.232 milioni). Oggi le prime 10 valgono ricavi per 13.564 milioni, quasi il doppio di dieci anni fa, e pari a 18 volte il fatturato delle ultime dieci (756 milioni).

Ormai il mercato, sul lato dell'offerta, è spaccato in due, le classifiche sono ormai due separate. È evidente che il crollo della nuova edilizia residenziale privata e dei lavori pubblici,entrambe circa dimezzate rispetto al 2008, non lascia spazio in Italia al ricco parterre di dieci anni fa di imprese di costruzione di media taglia.

Guardando ai dati di bilancio 2014, comunque, emerge rispetto all'anno prima un aumento del giro d'affari del 3,1%, con le specialistiche a fare la parte del leone (+5,3%), mentre le 45 generali si limitano a un aumento del 2,8%.
Gli indici reddituali mostrano un generale calo (ebitda -2,4%, ebit -0,2%, utile netto -27,4%), ma si tratta di numeri fortemente condizionati dalla crisi di Unieco e Coopcostruzioni; eliminando i loro dati "anomali", invece, tra le altre 48 imprese il margine operativo lordo (ebitda) sale dell'1,8%, l'ebit dell'8% e l'utile netto dello 0,5%.
L'indebitamento finanziario netto dell'intero campione si alleggerisce dell'8,3% e risulta ampiamente coperto da un patrimonio netto cresciuto del 6,3%.
L'analisi del professor Norsa evidenzia, nonostante il ruolo di fondo dei mercati esteri che continua a crescere, l'apparente anomalia del fatto che le maggiori crescite di fatturato hanno riguardato nell'ultimo anno imprese per nulla internazionalizzate. Inoltre anche i super-big stanno riscontrando qualche difficoltà in alcuni mercati (Russia, Turchia, Venezuela, oltre naturalmente a tutte le commesse libiche congelete). Tuttavia la scelta di Pizzarotti di scommettere sull'estero, ad esempio, e Astaldi in missione con Renzi in Sud America, solo per fare due esempi, dimostrano che i lavori fuori Italia resteranno un pilastro chiave per le grandi imprese di costruzione.
Norsa esamina 51 imprese attive all'estero (30 sono nella Top 50): nel 2014 i ricavi all'estero sono aumentati del 9,7%, quelli in Italia è diminuito del 6%.

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