Appalti

Nelle concessioni di servizi la base d'asta comprende anche i flussi di cassa

di Ilenia Filippetti


L'indeterminatezza del valore contrattuale rende illegittima la procedura per la concessione di servizi poiché incide sulla formulazione dell'offerta, impedendone la corretta elaborazione: a tale regola fa eccezione, tuttavia, il caso in cui la stazione appaltante non possa disporre dei dati relativi ai 'flussi di cassa' derivanti dalla gestione del servizio che si va ad affidare. È questo il principio affermato dal Tar Toscana con la sentenza 24 settembre 2015, n. 1282.

Il caso
Un istituto scolastico indice una procedura di gara per la somministrazione di bevande e snack all'interno delle proprie strutture e ne dispone l'aggiudicazione provvisoria. Gli atti della procedura, tuttavia, vengono impugnati da un'azienda operante nel settore, che non aveva partecipato alla procedura non avendo avuto tempestiva conoscenza del bando: secondo la ricorrente, nel bando di gara mancava l'indicazione del valore della concessione, da individuare, in mancanza di altri parametri, nei 'flussi di cassa' derivanti dalla gestione del servizio.

Il calcolo della base d'asta nelle concessioni di servizi
Con la sentenza in rassegna, il Tribunale toscano dichiara infondato il ricorso, sottolineando, in primo luogo, che - trattandosi di una concessione di servizi di cui all'articolo 30 del Dlgs 163/2006 - non era necessario applicare tutte le specifiche disposizioni del Codice dei contratti ma occorreva soltanto assicurare il rispetto dei principi europei di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità.
A tali principi, va aggiunto, in ogni caso, l'obbligo di attivare una gara informale alla quale invitare almeno cinque concorrenti, previa predeterminazione dei criteri selettivi (Tar Toscana, n. 929/2014).
Come accennato, secondo l'impresa ricorrente, nel bando di gara mancava l'indicazione del valore della concessione, valore da individuare, in mancanza di altri parametri, nei 'flussi di cassa' derivanti dalla gestione del contratto: il bando, in effetti, conteneva esclusivamente un riferimento all'importo minimo (euro 1.500,00) del contributo annuale che il concessionario avrebbe dovuto corrispondere alla stazione appaltante, senza indicare ulteriori elementi idonei a determinare il valore della gestione del servizio.
A questo proposito, la pronuncia in rassegna ricorda che, effettivamente, il calcolo del valore delle concessioni di servizi costituisce un adempimento imposto alle stazioni appaltanti dall'articolo 29 del Codice appalti: è consolidato, infatti, l'orientamento giurisprudenziale per cui l'indeterminatezza del complessivo valore del contratto costituisce causa di illegittimità della procedura in quanto tale indeterminatezza incide direttamente sulla formulazione dell'offerta, impedendone la corretta e consapevole elaborazione (Consiglio di Stato n. 5983/2013 e n. 5421/2011 nonché Tar Toscana n. 700/2012 e Tar Molise n. 568/2012).
Tali indicazioni risultano applicabili, di norma, anche alle procedure aventi a oggetto le concessioni di servizi, in virtù dell'espressa previsione contenuta all'articolo 29, comma 1 del Dlgs 163/2006 e, più in generale, in forza dei già citati principi europei richiamati all'articolo 30, comma 3 del Codice appalti (cfr. anche Tar Toscana n. 1186/2011).

Le indicazioni di Anac
Anche l'Anac, peraltro, aveva da tempo sottolineato che il calcolo del valore stimato degli appalti e delle concessioni di servizi è basato sull'importo totale pagabile valutato dalle stazioni appaltanti, al netto dell'Iva, compresa ogni eventuale forma di opzione o di rinnovo del contratto: per le concessioni, in particolare, nella nozione di importo totale pagabile va ricompreso anche il flusso dei corrispettivi pagati dagli utenti per i servizi in concessione e deve essere computato nel calcolo anche il canone eventualmente previsto a carico del concessionario nonché gli altri flussi economici idoneo a incidere sul piano economico finanziario.
Secondo il consolidato orientamento dell'Autorità, pertanto, per la stima del valore della concessione, la stazione appaltante deve considerare la totalità dei ricavi provenienti dalla gestione economica del servizio e l'erronea individuazione di tale importo può riflettersi sulla pubblicità della procedura nonché sui requisiti richiesti ai concorrenti (che potrebbero risultare sproporzionati rispetto al valore dichiarato del servizio): ciò potrebbe determinare, in definitiva, l'assenza di una trasparente e corretta informazione agli operatori economici circa i reali valori della concessione poiché, se l'importo stimato del contratto non rappresenta la piena utilità economica che potrebbe derivare dalla gestione del servizio, risulta difficile, per gli operatori economici, formulare un'offerta economica consapevole (Deliberazione Anac n. 40/2013).
Non è conforme, pertanto, alle disposizioni di cui all'articolo 29 del Codice appalti il fatto di determinare la base d'asta utilizzando soltanto l'elenco dei canoni minimi che dovranno essere corrisposti dal concessionario all'ente concedente: la normativa di settore prevede la stima, a monte della gara, anche degli introiti provenienti dall'utenza per tutta la durata della concessione, ovverosia la stima della remuneratività del servizio per l'operatore economico, elaborata in base all'esperienza degli anni precedenti e alle eventuali peculiarità del nuovo servizio (Deliberazione Anac n. 56/2010).
Per le concessioni, in definitiva, l'importo totale pagabile ricomprende il flusso dei corrispettivi pagati dagli utenti per i servizi erogati in concessione e il canone, eventualmente previsto a carico del concessionario, deve essere computato nella base d'asta, ma non può essere considerato come l'unica voce indicativa del valore della concessione (Deliberazione Anac n. 9/2010).

L'impossibilità per la stazione appaltante di conoscere tutti i flussi di cassa
Secondo la pronuncia in rassegna, nondimeno, l'applicazione dei predetti principi alla fattispecie concreta dedotta in giudizio appariva obiettivamente impossibile poiché la stazione appaltante non disponeva (né poteva disporre) dei dati relativi ai 'flussi di cassa' derivanti dalla gestione del servizio di somministrazione di bevande e snack; flussi di cassa che secondo il Tar costituiscono l'unico modo possibile per stimare il valore di questa particolare tipologia di concessione.
Nella fattispecie concreta, infatti, era ampiamente presente il requisito costitutivo delle concessioni di servizio, individuato, per consolidata giurisprudenza italiana e comunitaria, nella traslazione del rischio di gestione del servizio in capo al privato-concessionario (Consiglio di Stato n. 5068/2011 e Tar Toscana n. 929/2014; per la giurisprudenza europea cfr. Corte di Giustizia CE, sentenza 10 settembre 2009 in causa C-206/08 nonché sentenza 10 novembre 2011 in causa C-348/10 348); nondimeno, nel caso di specie, la traslazione del rischio di gestione a carico dell'operatore economico comprendeva:
- sia il risultato finale della gestione;
- sia il rischio relativo alla "domanda" del servizio (quantità di bevande o snack) concretamente richiesta dagli utenti.
L'entità di tale domanda trova espressione nei cosiddetti 'flussi di cassa', che, di fatto, la stazione appaltante non era assolutamente in grado di influenzare né di stimare: secondo il Tar Toscana, pertanto, la stazione appaltante non poteva essere in possesso dei dati necessari per stimare il valore della concessione, e ciò non tanto per sue insufficienze conoscitive, ma in quanto si trattava di dati inerenti la traslazione di un rischio di gestione comprensivo, in questa particolare tipologia di concessione, anche del 'rischio da domanda'.

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