Appalti

Opere pubbliche con capitali privati, arriva alla gestione il 55% delle concessioni aggiudicate

di Giorgio Santilli

Un mercato del project financing e del partenariato pubblico-privato in Italia esiste e non solo in termini di bandi cartacei sfornati dalle amministrazioni: è arrivata infatti alla fase della gestione circa metà delle piccole e medie opere aggiudicate in concessione di costruzione e gestione (prevalentemente parcheggi, cimiteri, edilizia sociale, tlc, energie alternative). La “qualità” di questo mercato è però molto bassa e tende a confondersi con l’appalto ordinario (dove nessun rischio di traffico viene accollato all’impresa): le amministrazioni pubbliche nella gran parte dei casi non conoscono gli indicatori economico-finanziario e di rendimento dell’investimento e non sono in grado di trattare quindi da pari a pari con i concessionari (potenziali o effettivi), soprattutto nel momento più critico della richiesta di revisione del piano economico-finanziario. Inoltre, la durata delle concessioni tende quasi sempre al tetto massimo ammesso per legge (cosa che spesso comprime l’interesse pubblico) mentre la disciplina legislativa (per esempio l’annosa querelle “promotore sì/promotore no” con relativo diritto di prelazione) è sostanzialmente ininfluente ai fini del risultato finale.

È la fotografia scattata dallo studio realizzato dal Dipartimento per la politica economica di Palazzo Chigi (Dipe), in collaborazione con il Cresme, e coordinato da Gabriele Pasquini: oggetto lo «stato dell’arte, criticità e prospettive» del project financing per la realizzazione di opere pubbliche in Italia. Il focus si concentra proprio su «cosa accade dopo l’aggiudicazione dei contratti di concessione di lavori», con l’analisi di mille progetti banditi tra il 2002 e il 2014 e presenti con tutte le informazioni necessarie nella banca dati del Cresme.

Il rapporto non evidenzia sostanziali differenze fra quanto successo in regime di Merloni-ter e in regime di codice degli appalti (anche dopo l’abolizione del terzo decreto correttivo del 2007 che ha eliminato il diritto di prelazione per il promotore). Nel primo contesto, il Cresme ha selezionato un campione di 630 opere in concessione di costruzione e gestione di importo inferiore a 50 milioni: 552 sono arrivate alla firma del contratto e, di questi, 463 si sono spinte fino al cantiere e 365 sono arrivati alla fase della gestione.

Nel secondo contesto (codice degli appalti), il campione di 311 opere aggiudicate mantiene più o meno le stesse proporzioni con 278 lavori giunti alcontratto e, di questi, 239 al cantiere e 170 fino alla gestione dell’opera.

Lo studio stigmatizza la durata troppo lunga delle concessioni (mediamente 29 anni e 10 mesi a fronte di un tetto ordinario di 30 anni, con 15 contratti di durata pari o superiore a 90 anni) perché «crea una rendita di posizione per il concessionario che sottrae alla contendibilità del mercato i servizi connessi alla gestione dell’intervento realizzato». Soprattutto lo studio Dipe-Cresme evidenzia come grave criticità il fatto che le amministrazioni ignorino indicatori come il Tir (tasso interno di rendimento) e il Van (valore attuale netto) degli azionisti e del progetto o ratios come il Debt Service Cover Ratio o il Loan Life Cover Ratio. «Dei 961 interventi - rileva lo studio - ben 752 operazioni non presentano alcun indicatore economico-finanziario». Soltanto 30 progetti presentano i sei indicatori elencati dallo studio.

La banca dati del Cresme consente anche di individuare la media dei tassi interno di rendimento (Tir) per gli azionisti nei casi esaminati, che risulta pari al 9,45%. «Considerando che per il 95% delle opere analizzate è già stato dato avvio ai lavori, tale numero sembra poter essere correttamente preso come benchmark di riferimento per il rendimento medio richiesto dagli azionisti in Italia nelle opere medio-piccole in concessione di lavori pubblici».

Il rapporto sul project financing nelle opere pubbliche

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