Appalti

Enti locali, il «Patto di stabilità impazzito» blocca 1,7 miliardi di euro di investimenti

di Gianni Trovati

L’anno scorso nei bilanci dei Comuni si sono accumulati 1,7 miliardi “di troppo”, soldi che potevano essere spesi senza fare un graffio agli equilibri di finanza pubblica e che invece sono rimasti fermi nei conti degli enti. La cifra è alla pagina 48 della Relazione sulla gestione finanziaria degli enti territoriali inviata al Parlamento due settimane fa dalla Corte dei conti, ed è enorme.Più che doppia, per esempio, rispetto ai fondi già disponibili per il piano straordinario contro il dissesto idrogeologico appena lanciato dal Governo (800 milioni, in attesa che la manovra 2016 ne trovi altri 650).
Il paradosso è evidente, ed è aggravato dal fatto che i risparmi in eccesso riguardano proprio le spese «in conto capitale», cioè quegli investimenti locali piccoli e grandi che sarebbero vitali per mettere in sicurezza il territorio e dare una mano alle economie territoriali.

Che cosa è successo? I sindaci, che a ogni intervento battagliano contro il Governo per evitare «altri tagli» giudicati sempre «insostenibili», siedono in realtà su un mare di soldi che non sanno utilizzare?

La realtà è un po’ più complessa: più degli amministratori locali, sono impazzite le regole di finanza pubblica.


Il problema si può sintetizzare così: il Patto di stabilità è stretto fra norme che cambiano in continuazione durante l’anno e meccanismi di “aiuto” che dipendono in larghissima parte dalle Regioni. In queste condizioni, fare un minimo di programmazione diventa impossibile, e le amministrazioni locali preferiscono cautelarsi piuttosto che rischiare di andare incontro alle sanzioni draconiane previste per chi sfora i vincoli di finanza pubblica. In questo modo, se il Patto chiede di raggiungere a fine anno un saldo di bilancio positivo per 100, molti enti arrivano a fine anno e scoprono che i loro conti hanno superato di parecchio l’obiettivo, ma ormai è troppo tardi. Così gli investimenti continuano a crollare, i pagamenti ai fornitori vanno avanti a singhiozzo, le economie territoriali languono ma intanto i conti si gonfiano. Inutilmente.

Per descrivere questo cortocircuito, incomprensibile ai non addetti ai lavori, basta un dato, tratto anche questo dall’analisi dei magistrati contabili: i “Patti territoriali”, cioè il mercato degli “spazi finanziari” messi a disposizione dalle Regioni (Patto verticale) o dagli altri Comuni (Patto orizzontale), sono nati con l’obiettivo preciso di permettere di liberare dai vincoli di finanza pubblica i pagamenti in conto capitale, e nel 2014 hanno messo a disposizione 1,3 miliardi; ma con un overshooting (così si chiamano i risparmi in eccesso) da 1,7 miliardi è evidente che nemmeno un euro fra quelli “liberati” è finito davvero a onorare
le fatture.

Dopo anni di crisi negli investimenti locali, con le conseguenze evidenti sia sui numeri del Pil sia sulle condizioni reali dei nostri territori, il controsenso dell’overshooting deve diventare la prima emergenza della finanza locale, anche perché è inutile inventarsi sofisticati meccanismi sblocca-debiti se poi sono le regole ordinarie a non funzionare. Nei giorni scorsi i sindaci hanno chiesto a Economia e Viminale di attivare subito un monitoraggio dei Patti regionali, per capire in tempo reale quanti sono gli “spazi finanziari” a disposizione dei pagamenti e correggere la rotta prima che finisca l’anno. Si tratta di una soluzione-tampone sicuramente utile per evitare un’altra replica del problema, che però andrà affrontato una volta per tutte con la manovra d’autunno. Anche qui, come nel fisco, la prima esigenza è quella della chiarezza e della semplificazione, per dare agli amministratori locali gli strumenti per governare davvero e ai controllori la possibilità di controlli effettivi. Perché anche dai risultati del Patto arriva l’ennesima conferma che il caos delle regole costa miliardi.

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