Appalti

Lo squilibrio nella valutazione fa scattare il risarcimento per le imprese non aggiudicatarie

di Giovanni La Banca

È illegittimo l'operato della commissione giudicatrice che determina uno squilibrio valutativo a favore dell'elemento economico-quantitativo e a discapito dell'elemento tecnico-qualitativo delle singole offerte, ossia a discapito di quell'elemento che – in via generale – dovrebbe rivestire rilievo preponderante nell'attribuzione dei punteggi (Tar Campania, Napoli, sezione 8, sentenza 16 luglio 2015, n. 3805).

L'elemento psicologico
Ai fini dell'accertamento della responsabilità dell'Amministrazione, non rileva l'elemento psicologico, oltre a quello oggettivo (costituito dall'attività illegittima e dalla lesione del bene della vita da essa arrecata).
In questo senso, la Corte di giustizia UE ha reputato incompatibile con l'ordinamento comunitario la normativa nazionale, la quale subordini il diritto a ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un'amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione, anche nel caso in cui l'applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all'amministrazione suddetta, nonché sull'impossibilità per quest'ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali e, dunque, un difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata
Essa ha, dunque, configurato in modo marcatamente oggettivo la responsabilità dell'amministrazione nel particolare settore degli appalti pubblici, connotato dalla funzione riparatorio-compensativa della tutela risarcitoria per equivalente, con cui surrogare integralmente, in presenza dei medesimi e soli presupposti di illegittimità, quella in forma specifica, rivolta al conseguimento del bene della vita ambito (aggiudicazione), nonché connotato dalla sostanziale completezza, autoconclusività e puntualità della relativa disciplina, la cui inosservanza risulta, di per sé, presuntiva di colpa.

Il lucro cessante
Il risarcimento a titolo di lucro cessante, ossia di mancato utile d'impresa, va calcolato in conformità al criterio di cui all'articolo 345 della legge 2248/1865, allegato F, nella misura del 10% dell'offerta.
Tale voce di danno, quantificabile col menzionato parametro presuntivo del mancato guadagno, deve trovare, però, adeguato riscontro probatorio in ordine alla impossibilità, per le imprese ricorrenti, di utilizzare i mezzi e la manodopera lasciati disponibili per altri lavori, ben potendosi inferire, in assenza di una simile prova, che le imprese stesse abbiano riutilizzato mezzi e manodopera per l'esecuzione di altri appalti, riducendo in parte la propria perdita di utilità.
Al contrario, qualora il rapporto di causalità tra l'attività amministrativa illegittima e il danno patrimoniale lamentato non si configuri in termini assoluti ma probabilistici, occorre valutare se, attraverso un operato diverso della Commissione si sarebbe, in ogni caso, ottenuta l'aggiudicazione in favore delle imprese non aggiudicatarie.
Nel caso in cui tale dimostrazione non venga offerta, è da ritenere che l'impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri analoghi lavori o di servizi o di forniture, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con la conseguenza che il risarcimento può essere ridotto in via equitativa, in misura pari al 5% dell'offerta dell'impresa.

Il danno emergente
Non è da reputarsi risarcibile, invece, il danno emergente, corrispondente ai costi di partecipazione alla gara in quanto questi possono integrare la voce di danno suddetta solo nei casi di illegittima esclusione (dove viene in considerazione la pretesa del contraente a non essere coinvolto in trattative inutili), e non nei casi di danno per mancata aggiudicazione o per perdita della possibilità di aggiudicazione.
Ciò in quanto la partecipazione alle gare d'appalto comporta per i partecipanti spese che, ordinariamente, restano a carico delle imprese medesime sia in ipotesi di aggiudicazione sia in ipotesi di mancata aggiudicazione.
La presentazione dell'offerta, con le spese annesse, non è un costo rimborsabile alla società neanche in caso di aggiudicazione dell'appalto, in quanto deve ritenersi che la predetta somma costituisse un investimento ma anche un rischio dell'impresa, funzionale alla previsione di guadagno, già liquidata in sede di lucro cessante.
Il risarcimento del danno per illegittima aggiudicazione – in materia di pubblici appalti di lavori e servizi – è riferito sostanzialmente a quella che si definisce “perdita di chance”, ovvero al guadagno che l'impresa avrebbe potuto ottenere, in base ad una ragionevole valutazione di probabilità e alle regole del mercato.

La rilevanza del comportamento della parti
La condotta processuale delle ricorrenti, riguardata nel suo complesso, rappresenta un elemento di prova importante nella valutazione e nella quantificazione del risarcimento del danno, anche in considerazione delle previsioni dell'articolo 1227, comma 2 del Codice civile
Tale norma statuisce che il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza e si pone su un piano di continuità rispetto all'art. 30, comma 3 del Codice del processo amministrativo, secondo cui, nel determinare il risarcimento, il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti.
La regola della non risarcibilità dei danni evitabili con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall'ordinamento – oggi sancita dall'articolo 30, comma 3 del Codice del processo amministrativo – deve ritenersi ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di un'interpretazione evolutiva dell'articolo 1227, comma 2 del Codice civile
In particolare, l'obbligo di cooperazione ex articolo 1227, comma 2 del Codice civile trova fondamento nel canone di buona fede ex articolo 1175 del Codice civile e, quindi, nel principio costituzionale di solidarietà.
Da ciò deriva che anche le scelte processuali di tipo omissivo possono costituire in astratto comportamenti apprezzabili ai fini della esclusione o della mitigazione del danno, laddove si appuri, alla stregua del giudizio di causalità ipotetica, che le condotte attive trascurate non avrebbero implicato un sacrificio significativo ed avrebbero verosimilmente inciso, in senso preclusivo o limitativo, sul perimetro del danno.
Sotto questo profilo, deve essere, dunque, valorizzato, per esempio, l'eventuale omesso esperimento di atti di impulso processuale da parte delle ricorrenti, volti alla sollecita definizione della causa.
Tale circostanza, seppure non elide il nesso eziologico dell'illegittima aggiudicazione, stipulazione ed esecuzione dell'appalto in rapporto alle voci di pregiudizio patrimoniale dianzi acclarate, recide, invece, certamente, nel periodo di inerzia processuale, detto nesso eziologico in rapporto all'ulteriore voce di danno prefigurata da parte ricorrente a titolo di rivalutazione monetaria.

LE ULTIME DECISIONI SU PROBLEMI ATTUALI E CON SOLUZIONI
APPALTI

L'informativa prefettizia per gli appalti sotto soglia
La scelta di un'Amministrazione pubblica di avvalersi della possibilità di richiedere l'informativa prefettizia, non è preclusa dal disposto di cui all'articolo 10, comma 1 del Dpr 252/1998, nella parte in cui pone l'obbligo di acquisire le informazioni qualora l'importo della gara o della concessione superi la soglia normativamente posta. L'obbligo di acquisire l'informazione esclusivamente nel caso di appalti di importo superiore alla soglia di rilevanza comunitaria non vale, invero, a fondare la tesi contraria relativamente agli appalti sotto soglia, per i quali, pertanto, l'informazione deve ritenersi comunque valida, con ragionamento analogicamente estensibile alle concessioni di importo inferiore alla soglia nella stessa norma prevista.
Tar Calabria, Reggio Calabria, sentenza 28luglio 2015, n. 806

Sulle controversie insorte tra l'aggiudicazione e la stipula del contratto decide il giudice amministrativo
In tema di appalti pubblici, qualora alla deliberazione di aggiudicazione dell'appalto non segua la stipula del contratto tra le parti ma intervenga la decadenza della stessa aggiudicazione, la controversia introdotta dall'aggiudicatario decaduto appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo, essendosi la fattispecie svolta ed esaurita tra l'originaria aggiudicazione e la stipula del contratto, mai avvenuta . Nelle procedure a evidenza pubblica, invero, la cognizione dei comportamenti e degli atti assunti nella fase compresa tra l'aggiudicazione e la stipula del contratto spetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, mentre relativamente a ciò che accade nella fase di esecuzione del rapporto la giurisdizione è attribuita al giudice ordinario. Una volta che si è addivenuti all'aggiudicazione, nella fase intercorrente tra quest'ultima e la stipulazione del contratto vengono in rilievo posizioni di diritto soggettivo poiché l'interesse tutelato, a questo punto della procedura, è solo quello alla corretta esecuzione del contratto aggiudicato. Ciò che rileva in questa fase è dunque l'affidabilità dell'aggiudicatario sotto tale profilo e l'annullamento dell'aggiudicazione può conseguire a un difetto di essa. La giurisdizione, tuttavia, appartiene egualmente al giudice amministrativo in sede esclusiva, poiché questa, come detto sopra, perdura ex articolo 133, comma 1, lettera e), n. 1 del Codice del processo amministrativo fino alla conclusione della procedura di affidamento che non può dirsi perfezionata se non con la stipulazione del contratto. (Amb.dir.)
Tar Toscana, Firenze, sezione 1, sentenza 27 luglio 2015, n. 1119

Sedute di gara: la decisione finale spetta sempre al collegio
Sebbene le garanzie di imparzialità, pubblicità, trasparenza e speditezza dell'azione amministrativa postulino che le sedute di una commissione di gara debbano ispirarsi al principio di concentrazione e continuità, tale principio è soltanto tendenziale ed è suscettibile di deroga, potendo verificarsi situazioni particolari che obiettivamente impediscono l'espletamento di tutte le operazioni in una sola seduta o in poche sedute ravvicinate.
Consiglio di Stato, Sezione 3, sentenza 23 luglio 2015, n. 3649

EDILIZIA E URBANISTICA
L'individuazione di una nuova via di passaggio delle navi da crociera

La scelta del canale Contorta - Sant'Angelo, quale nuova via di passaggio delle navi da crociera nella laguna di Venezia risponde a considerazioni aprioristicamente orientate e sulla base di inadeguate valutazioni, non supportate dai necessari studi e approfondimenti comparatistici. Nell'ambito della sequenza procedimentale preordinata allo scopo, non risulta, infatti, essere stata svolta la disamina completa e approfondita di tutte le soluzioni progettuali proposte in varie sedi e concorrenti per l'individuazione dell'ipotesi maggiormente idonea a contemperare tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti. La scelta dell'Autorità Portuale è stata essenzialmente concentrata sull'aprioristico presupposto che il contestato progetto di ricalibratura del canale Contorta Sant'Angelo rappresenterebbe, allo stato, “l'unico studio al momento completo ed esaustivo disponibile, idoneo a limitare le interferenze tra il traffico passeggeri e quello commerciale, consentendo alle navi passeggeri di raggiungere il terminal marittima senza transitare per l'area industriale di Marghera”. L'individuazione della via alternativa da utilizzare per l'accesso delle navi da crociera nella laguna di Venezia, è stata quindi determinata senza alcuna effettiva comparazione con gli altri tragitti in astratto ipotizzabili, svolgendo peraltro un'analisi del tutto superficiale degli stessi e di cui vengono sommariamente evidenziati i soli aspetti allo stato negativi. Ciò senza effettuare alcuna concreta valutazione in ordine alle possibili integrazioni progettuali che potrebbero avvalorare ipotesi attualmente non esaustivamente definite, con ogni dovuta puntualizzazione in ordine al raffronto costi benefici delle opere in questione, sia sul piano ambientale e logistico che su quello strettamente tecnico e senza tener conto del parere negativo reso dalla Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. (Amb.dir.)
Tar Veneto ,Venezia, sezione 1, sentenza 29 luglio 2015, n. 877

Il rischio di incidenti rilevanti: accorgimenti ambientali o edilizi
Ai sensi dell'articolo 14 comma 5-bis del Dlgs 334/1999, nelle zone interessate dagli stabilimenti a rischio di incidente rilevante gli enti territoriali debbono tenere conto, nell'elaborazione degli strumenti di pianificazione dell'assetto del territorio, della necessità di prevedere e mantenere opportune distanze tra gli stabilimenti e le zone residenziali, gli edifici e le zone frequentate dal pubblico, le vie di trasporto principali, le aree ricreative e le aree di particolare interesse naturale o particolarmente sensibili dal punto di vista naturale, nonché tra gli stabilimenti e gli istituti, i luoghi e le aree tutelati ai sensi del decreto legislativo n. 42/2004. Il successivo articolo 21, comma 3 stabilisce quindi che nell'atto che conclude l'istruttoria per l'approvazione del Rapporto di sicurezza vengano indicate le valutazioni tecniche finali, le proposte di eventuali prescrizioni integrative e, qualora le misure che il gestore intende adottare per la prevenzione e la riduzione di incidenti rilevanti risultino nettamente inadeguate ovvero non siano state fornite le informazioni richieste, sia previsto il divieto di inizio di attività. Venendo alle fonti secondarie, il sottoparagrafo 6.2.2. dell'allegato al Dm 9 maggio 2001 prevede a sua volta che, per gli stabilimenti soggetti alla presentazione del Rapporto di sicurezza, la determinazione delle aree di danno deve essere condotta dal gestore nei termini analitici richiesti per la stesura di questo ed eventualmente rivalutata a seguito delle conclusioni dell'istruttoria per la valutazione del Rapporto di sicurezza; mentre l'articolo 5 del Dpcm 25 febbraio 2005, recante linee guida per la predisposizione del piano di emergenza esterna di cui all'articolo 20 del Dlgs 334/1999, stabilisce che le aree di interesse per l'organizzazione delle attività di pianificazione, inoltre, devono essere definite a partire dai cerchi di danno individuati nel Rapporto di sicurezza, ma possono essere più ampie – mai inferiori – dei cerchi di danno stessi nel caso di particolari vulnerabilità territoriali. (Amb.dir.)
Tar Toscana, Firenze, sezione 1, sentenza 27 luglio 2015, n. 1121

Inadempimento dell'obbligo di trasferimento delle aree previsto da una convenzione urbanistica
Il rimedio previsto dall'articolo 2932 del Codice civile al fine di ottenere l'esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto, deve ritenersi applicabile non solo nelle ipotesi di contratto preliminare non seguito da quello definitivo, ma anche in qualsiasi altra ipotesi dalla quale sorga l'obbligazione di prestare il consenso per il trasferimento o la costituzione di un diritto, sia in relazione ad un negozio unilaterale, sia in relazione ad un atto o ad un fatto dai quali detto obbligo possa sorgere ex lege (cfr. Cassazione, sezione 2, sentenza 30 marzo 2012, n. 5160). È pertanto rimedio esperibile nel caso di inadempimento dell'obbligo di trasferimento delle aree previsto da una convenzione urbanistica. (Amb.dir.)
Tar Veneto, Venezia, sezione 2, sentenza 24 luglio 2015, n. 875

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©