Appalti

Esclusione per macchie nel curriculum (negligenza o errore professionale): i paletti del Consiglio di Stato

di Roberto Mangani

La causa di esclusione relativa all'aver commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione di precedenti contratti o gravi errori nell'esercizio dell'attività professionale - prevista dall'articolo 38, comma 1, lettera f) del D.lgs. 163/2006 – si basa su un giudizio complessivo sulla mancanza di affidabilità dell'impresa, che rientra nelle valutazioni di merito espressione della discrezionalità amministrativa propria dell'ente appaltante, rispetto alla quale sussistono limiti ben definiti del sindacato di legittimità del giudice amministrativo.

Inoltre, la negligenza o malafede prescinde dall'intervenuto accordo transattivo tra l'appaltatore e l'ente appaltante, mentre l'errore professionale può essere dimostrato con qualsiasi mezzo di prova, senza la necessità che esso sia stato riconosciuto a seguito di una sentenza passata in giudicato. Tale errore, infine, non deve necessariamente riguardare l'esecuzione di un contratto con il medesimo ente che ha bandito la gara, potendo essere stato commesso anche in relazione a rapporti contrattuali esistenti con altri enti committenti.

Sono queste le principali affermazioni contenute nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 15 giugno 2015, n. 2928, che presenta un notevole interesse in quanto puntualizza alcuni principi relativi a questa causa di esclusione, che aiutano a delimitarne le corrette modalità di applicazione, che nel tempo hanno dato luogo a significative difficoltà interpretative.

Il fatto
La società Metronapoli aveva proceduto allo svolgimento di una procedura di gara per l'affidamento dell'appalto del servizio di vigilanza presso i sti e le stazioni in gestione alla stessa.

All'esito della procedura, veniva disposta l'aggiudicazione a favore di un raggruppamento temporaneo di imprese. Successivamente, l'Azienda Napoletana mobilità – che aveva incorporato per fusione Metronapoli – disponeva l'esclusione del raggruppamento aggiudicatario in relazione a quanto previsto dall'articolo 38, comma 1, lettera f) del D.lgs. 163/2006 e il conseguente annullamento dell'aggiudicazione definitiva disposta in favore dello stesso.

Contro tali provvedimenti il suddetto raggruppamento proponeva ricorso davanti al Tar Campania con una serie articolata di motivi di censura – tutti incentrati su una ritenuta non corretta applicazione della causa di esclusione richiamata - che venivano respinti dal giudice di primo grado. Contro tale decisione il raggruppamento proponeva appello, su cui si è pronunciato il Consiglio di Stato con la sentenza in commento.

I punti fermi sulla grave negligenza e malafede ed errore professionale
Come accennato all'inizio, l'interesse della pronuncia del Consiglio di Stato risiede, prima ancora che nella decisione assunta nel caso di specie, nella sintesi che essa opera in merito ai principi che – anche in relazione all'elaborazione giurisprudenziale intervenuta – presiedono alle modalità di applicazione della causa di esclusione disciplinata dalla lettera f) del comma 1 dell'articolo 38.

Il primo principio è che la causa di esclusione indicata implica una valutazione sull'affidabilità dell'impresa, basata sul comportamento della stessa in precedenti rapporti contrattuali o, più in generale, nello svolgimento della sua attività professionale, che il legislatore ha inteso riservare all'autonoma valutazione dell'ente appaltante che bandisce la gara. Tale valutazione costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, rispetto alla quale l'intervento del giudice in sede di legittimità incontra limiti ben definiti. Il sindacato giurisdizionale, infatti, si deve limitare a verificare l'eventuale pretestuosità o la palese contraddittorietà o irragionevolezza del provvedimento di esclusione adottato dall'ente appaltante, ma non può spingersi fino a censurare le valutazioni di merito operate dallo stesso, giacché ciò comporterebbe un'indebita ingerenza del giudice in un ambito riservato all'amministrazione.

Anche la valutazione dell'ente appaltante incontra peraltro dei vincoli. Tale valutazione deve infatti incentrarsi sulla corretta interpretazione delle categorie giuridiche richiamate dalla norma (grave negligenza o malafede o grave errore professionale). Una volta operata tale valutazione non residua un reale potere di apprezzamento in capo all'ente appaltante, nel senso che qualora esso ritenga che vi sia effettivamente stata negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni relative a precedenti rapporti contrattuali o gravi errori professionali, deve necessariamente procedere all'esclusione del concorrente.
Sotto altro profilo, ai fini del provvedimento di esclusione ai sensi della causa di cui alla più volte richiamata lettera f), non assume alcun rilievo la circostanza che gli inadempimenti dell'impresa - indici della grave negligenza o malafede nell'esecuzione di precedenti prestazioni – siano stati oggetto di accordi transattivi. Ciò infatti non impedisce di desumere dalla stessa transazione l'esistenza di quei comportamenti dell'impresa che minano l'affidabilità della stessa ai fini dell'instaurazione di possibili ulteriori rapporti contrattuali.
Infine, il grave errore professionale - che evidentemente fa riferimento non alla negligenza o malafede nel singolo rapporto contrattuale ma più in generale all'intera attività dell'impresa considerata nel suo complesso - può essere dimostrato con qualunque mezzo di prova, non essendo necessario che esso sia stato riconosciuto e cristallizzato in una sentenza passata in giudicato.

L'applicazione al caso di specie
Operata nei termini illustrati la ricostruzione dei principi fondamentali relativi alla causa di esclusione in esame, il Consiglio di Stato procede poi a farne coerente applicazione al caso sottoposto alla sua attenzione.

Sulla base della richiamata ricostruzione, il giudice amministrativo ha respinto tutti motivi di ricorso proposti dal raggruppamento originario aggiudicatario.
In primo luogo non assume alcun rilievo la circostanza che, a valle delle contestazioni mosse dall'ente appaltante in merito a rilevanti inadempimenti posti in essere dall'impresa nell'esecuzione di un precedente contratto, sia successivamente intervenuto un accordo transattivo che ha definito ogni contestazione e eliminato ogni ragione di possibile contenzioso tra le parti.

Come ricordato in precedenza, l'esistenza di una transazione in merito a pregressi rapporti contrattuali non impedisce all'ente appaltante che ha bandito la gara (che può essere il medesimo che ha definito l'accordo transattivo o un ente diverso) di procedere comunque all'esclusione in relazione alla causa di cui alla più volte richiamata lettera f), magari ricavando proprio dal contenuto dell'accordo transattivo elementi a sostegno del relativo provvedimento di esclusione.

Il secondo motivo di censura dedotto dal ricorrente si fondava sulla circostanza che la ritenuta condotta negligente e in malafede nell'esecuzione delle prestazioni relative a un precedente rapporto contrattuale riguardava solo uno dei componenti del raggruppamento aggiudicatario. Di conseguenza, la causa di esclusione non poteva essere automaticamente estesa al raggruppamento nel suo complesso.

Questa obiezione è stata respinta agevolmente dal giudice amministrativo sulla base dell'argomento fondamentale che i requisiti soggettivi - la cui mancanza costituisce appunto causa di esclusione dalla gara - devono essere posseduti da tutti i soggetti partecipanti e quindi, in caso di raggruppamento, da tutti i componenti dello stesso.
Non può trovare accoglimento neanche la censura fondata sul fatto che il committente nei cui confronti si è verificata la grave negligenza e malafede nello svolgimento del precedente rapporto contrattuale è diverso dall'ente appaltante che ha disposto l'esclusione.
Infatti – al di là della circostanza che il committente titolare del precedente contratto è in realtà stato incorporato nell'ente appaltante che ha bandito la gara – vale il principio secondo cui non vi deve necessariamente essere identità tra l'ente titolare del contratto nell'ambito del quale si sono verificati i presupposti per l'applicazione della causa di esclusione e l'ente appaltante che tale esclusione materialmente dispone.

Non rileva neanche la circostanza, invocata dal ricorrente, secondo cui il comportamento negligente nel precedente contratto si sarebbe verificato successivamente all'indizione della gara. Le cause di esclusione, infatti, assumono rilievo non solo ai fini della partecipazione alla gara, ma anche ai fini della successiva stipula del contratto, in quanto i requisiti soggettivi – la cui mancanza costituisce causa di esclusione – devono sussistere per tutto il periodo di svolgimento della procedura e fino al momento della stipula del contratto.

Infine, sotto il profilo procedurale, non può ritenersi che l'ente appaltante avrebbe dovuto comunicare l'avvio del procedimento finalizzato all'esclusione del concorrente ai sensi dell'articolo 7 della legge 241/90. Tale comunicazione, infatti, è finalizzata a consentire al soggetto interessato di essere tempestivamente informato dell'esistenza del procedimento, così da poter formulare le proprie controdeduzioni nell'ottica di assicurare le necessarie garanzie partecipative. Nel caso di specie questa finalità è stata comunque garantita, poiché il soggetto interessato era ben consapevole delle contestazioni mosse nei suoi confronti e rispetto alle quali aveva potuto tempestivamente presentare tutte le sue osservazioni e deduzioni. Cosicché la comunicazione di avvio del procedimento sarebbe stata del tutto superflua ed imporla avrebbe significato contraddire i principi di economicità e speditezza cui deve essere ispirata l'azione amministrativa.

La sentenza n.2928 /2015 del Consiglio di Stato

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