Appalti

Ancora tutto da scrivere il capitolo sulle modifiche in corso d'opera

di Roberto Mangani

La delega recentemente approvata dal Senato per il recepimento delle direttive comunitarie sugli appalti e la conseguente riscrittura del Codice dei contratti pubblici contiene, alla lettera v), alcuni criteri in tema di varianti.

La logica che si coglie dalla lettura dei suddetti criteri si pone in sostanziale continuità con la disciplina vigente ed è finalizzata a delimitare la possibilità di ricorrere alle varianti in corso d'opera, secondo precise condizioni sostanziali e procedurali indicate dal legislatore.
L'articolo 132 del D.lgs. 163/2006. La disciplina attuale sulle varianti è contenuta all'articolo 132 del D.lgs. 163/2206, cui si aggiungono alcune previsioni di natura regolamentare di cui agli articoli 161 e seguenti del DPR 207/2010.

La logica di fondo della disciplina è quella di circoscrivere la possibilità di ricorso alle varianti ad ipotesi specificamente indicate dal legislatore ed elencate alle lettere da a) a e - bis) del comma 1 del richiamato articolo 132. Le ipotesi contemplate dalla norma sono, per la gran parte, riconducibili ad eventi sopravvenuti in corso d'opera e non prevedibili al momento della stipula del contratto e del conseguente avvio dei lavori.
Rientrano in questa casistica: le esigenze derivanti da sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari (lettera a); le cause impreviste e imprevedibili o la possibilità di utilizzare – senza aumento di costi - materiali, componenti e tecnologie migliorative, non esistenti al momento della progettazione (lettera b); gli eventi inerenti la natura e la specificità dei beni sui quali si interviene o i rinvenimenti non previsti o non prevedibili (lettera c); la così detta sorpresa geologica, di cui all'articolo 1664, comma 2 del codice civile (lettera d); la necessità di bonifica e/o messa in sicurezza dei siti contaminati (lettera e – bis).

A queste ipotesi si aggiunge quella, di natura diversa, relativa alla necessità di porre rimedio a errori o omissioni del progetto esecutivo, che pregiudichino in tutto o in parte la realizzazione dell'opera (lettera e).
Va evidenziato che ognuna delle ipotesi elencate ha dato luogo a una serie di interventi, da parte della giurisprudenza e dell'Autorità di vigilanza, tendenzialmente indirizzati a evitare un'interpretazione eccessivamente ampia delle stesse e, conseguentemente, un utilizzo troppo "disinvolto" delle varianti in corso d'opera. Tuttavia, restano evidentemente aperti molti spazi interpretativi, legati indissolubilmente alla definizione necessariamente generica di alcune delle ipotesi elencate all'articolo 132.

Nel caso di varianti dovute a errori o omissioni della progettazione, il comma 2 prevede la responsabilità del progettista per i danni subiti dalla stazione appaltante (che attengono non solo ai costi di riprogettazione, ma anche ai ritardi e ai maggiori costi conseguenti alla necessità di introdurre le varianti). In questa ipotesi, nel caso le varianti eccedano il quinto dell'importo originario del contratto, la stazione appaltante procede alla risoluzione del contratto, indicendo una nuova gara cui è invitato l'originario affidatario (comma 4). Quest'ultima previsione ha in realtà sempre suscitato più di una perplessità, non essendo facilmente identificabile la ratio secondo cui si deve procedere alla risoluzione del contratto – penalizzando quindi l'appaltatore – in relazione a un errore progettuale di cui quest'ultimo non ha la responsabilità.

La disciplina dell'articolo 132 si completa infine con le previsioni del comma 3, relative alle cosi dette "varianti non varianti" . Si tratta di quelle ipotesi in cui l'ente appaltante è legittimato a introdurre modifiche in corso d'opera al di fuori dei vincoli sostanziali e procedurali indicati dalle precedenti disposizioni.
La prima ipotesi consiste nell'introduzione di quelle modifiche legate ad aspetti di dettaglio che possono essere disposte in via autonoma dal direttore lavori. La norma pone peraltro due limiti quantitativi all'esercizio di questa facoltà: il primo è che l'importo del contratto non deve aumentare; il secondo è che le modifiche devono essere contenute nei limiti di importo del 10% per i lavori di bonifica e messa in sicurezza e per quelli di recupero, ristrutturazione, manutenzione e restauro, e nel più ridotto limite del 5% per tutte le altre categorie di lavorazioni dell'appalto.

La seconda ipotesi riguarda le variazioni che possono essere introdotte, nell'esclusivo interesse del committente, al fine del miglioramento dell'opera e della sua funzionalità. Questa possibilità è condizionata da tre limitazioni: le migliorie non devono comportare modifiche sostanziali dell'opera; devono essere motivate da oggettive esigenze derivanti da circostanze sopravvenute e imprevedibili al momento della stipula del contratto; non devono comportare incrementi dell'importo originario del contratto superiori al 5 %, che peraltro devono trovare copertura nella somma stanziata per l'esecuzione dell'opera, al netto del 50% dei ribassi conseguiti in sede di gara.

I criteri di delega. Riassunta nei termini esposti la disciplina vigente, vediamo cosa prevede il criterio di delega contenuto alla lettera v) e in che misura esso è destinato a modificare la situazione esistente.
In linea generale, la ratio di fondo che si ricava dal criterio di delega resta quella di limitare il ricorso alle varianti in corso d'opera, prevedendo una disciplina ispirata all'esigenza di contenere questa possibilità entro confini ben determinati e ancorandola a circostanze sopravvenute. Nel contempo sembra potersi cogliere, tra le righe, anche un'esigenza di semplificazione procedurale nel procedimento attuativo delle varianti.
In questo contesto, un punto nodale del criterio di delega è costituito dalla prospettata necessità di distinguere tra variazioni sostanziali e variazioni non sostanziali. La previsione non indica a che fine debba essere individuata tale distinzione e quali conseguenze debba avere sulla relativa disciplina. Sembra tuttavia ipotizzabile che tale distinzione possa richiamare le previsioni sulla "varianti non varianti" oggi contenute al comma 3 dell'articolo 132, aprendo quindi la strada al mantenimento anche nella nuova legge di recepimento di una disciplina semplificata per le varianti minori, distinta da quella valida in via ordinaria per le varianti in senso proprio.

Il criterio di delega prevede poi che tutte indistintamente le varianti – e quindi anche quelle non sostanziali - abbiano come presupposto l'esistenza di condizioni impreviste e imprevedibili, che devono rappresentare la giustificazione ultima delle varianti e la cui sussistenza va dimostrata con congrua motivazione. Sotto questo profilo, questa specifica previsione si pone sostanzialmente in linea con la disciplina vigente, in cui le diverse ipotesi di legittimo ricorso alle varianti sono in gran parte riconducibili all'emergere in corso d'opera di circostanze impreviste o imprevedibili.

Uno degli aspetti da evidenziare riguarda il ruolo del responsabile del procedimento nell'iter autorizzativo delle varianti. Il criterio di delega prevede infatti che ogni variante debba essere autorizzata dal responsabile del procedimento, e ciò anche ai fini di assicurare che l'approvazione della variante abbia un effetto sostitutivo rispetto agli atti di autorizzazione e di assenso comunque denominati. Questa previsione pone due questioni. La prima riguarda il ruolo e i poteri del responsabile del procedimento. In base alla generica formulazione contenuta nel criterio di delega, si potrebbe dedurre che il responsabile del procedimento sia il solo soggetto titolare del potere di apportare varianti. In realtà, tale potere dovrebbe trovare la sua più corretta titolarità negli organi dell'ente committente competenti ad assumere decisioni di spesa. Di conseguenza, l'autorizzazione del responsabile del procedimento - almeno per le varianti sostanziali – dovrebbe rappresentare un passaggio necessario del processo, ma presumibilmente non dovrebbe esaurire il relativo iter.
La seconda questione attiene alla corretta interpretazione della previsione secondo cui l'autorizzazione del responsabile del procedimento deve caratterizzarsi per l'effetto sostitutivo di tutte le autorizzazioni e gli atti di assenso. Occorre infatti capire in che termini e con quali modalità questa generica previsione possa tradursi in prescrizioni puntuali, posto che vengono in rilievo questioni complesse attinenti le competenze dei singoli enti titolari degli atti di assenso, di autorizzazione e di tutti gli altri atti necessari per l'esecuzione dei lavori oggetto di variante, che certamente non possono essere annullate a favore di una competenza unica del responsabile del procedimento. Di conseguenza, la previsione deve essere più ragionevolmente interpretata nel senso che la normativa di recepimento dovrà stabilire che lo stesso responsabile del procedimento, all'atto del rilascio della sua autorizzazione, dovrà aver provveduto ad acquisire tutti gli atti e le autorizzazioni richiesti dalla normativa vigente per l'esecuzione dei lavori.

Nell'ambito del criterio di delega viene poi ribadito il principio della responsabilità del progettista in caso di errori di progettazione. Tale principio riprende quanto già previsto dalla normativa vigente; tuttavia la legge di recepimento potrebbe costituire l'occasione per superare le contraddizioni contenute nel comma 4 dell'articolo 132 – sopra ricordate – in relazione alla risoluzione del contratto conseguente a errori progettuali.

Altra previsione contenuta nel criterio di delega riguarda la facoltà da riconoscere all'ente committente di procedere alla rescissione del contratto nel caso in cui le varianti superino di una determinata soglia l'importo del contratto originario. Si tratta di una novità rispetto alla disciplina vigente, che prevede la risoluzione – peraltro in termini di obbligo e non di facoltà - solo nel caso di varianti per errori progettuali che superino il quinto dell'importo originario.
La facoltà di risoluzione viene quindi estesa, qualunque sia la ragione delle varianti, anche se viene appunto configurata in termini di facoltà. Di conseguenza, l'ente committente non potrà essere obbligato a risolvere il contratto qualora la soglia prefissata fosse superata, soluzione che appare condivisibile in quanto lascia opportuni margini di valutazione all'ente committente in relazione ai singoli casi concreti.
Nulla viene invece detto con riferimento alla posizione dell'appaltatore. In base alle norme vigenti, quest'ultimo è obbligato ad eseguire i lavori oggetto di variante - sempre che non mutino sostanzialmente la natura dell'opera – agli stessi patti e condizioni del contratto originario, se il relativo importo rientra nel limite del quinto dell'importo del contratto originario (il così detto quinto d'obbligo). Oltre tale limite, l'appaltatore può decidere se eseguire comunque i lavori – anche a condizioni diverse ad quelle del contratto originario - ovvero recedere dallo stesso.

Sul punto, qualora permanesse la mancanza di indicazioni esplicite nei criteri di delega, si deve ritenere che il legislatore delegato abbia ampi margini per confermare o modificare la normativa vigente.
L'esame dei contenuti del criterio di delega porta ad affermare che non sembrano delinearsi novità particolarmente significative in materia di varianti. E' tuttavia auspicabile che l'occasione possa essere utilizzata per modificare alcuni aspetti dell'attuale disciplina che hanno creato problemi interpretativi o che appaiono oggettivamente irragionevoli.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©