Fisco e contabilità

Tsunami split payment per costruttori e progettisti: dal 1° luglio niente Iva anche da Fs, Anas e municipalizzate

di Mauro Salerno

Uno tsunami che rischia di travolgere costruttori e progettisti. È l'immagine che il settore delle costruzione associa all'allargamento della platea di enti e società che dal primo luglio, cioè dopodomani, dovranno cominciare usare la tecnica dello «split payment» quando si tratterà di pagare appaltatori e fornitori. Per chi non mastica il gergo fiscale significa che a saldo delle fatture un numero crescente di stazioni appaltanti non riconosceranno più l'Iva a costruttori, progettisti e fornitori, ma dovranno versarla direttamente allo Stato.

Lo split payment in realtà funziona già dal 2015 negli appalti pubblici. Allora cosa c'è di nuovo? La novità è che la manovrina di primavera, oltre a prorogare la misura che sarebbe scaduta a fine anno fino a tutto il 2020, ha allargato pesantemente l'elenco di soggetti che obbligati a versare l'Iva direttamente allo Stato e non più alle imprese, in nome della lotta all'evasione fiscale. Prima a essere interessati dalla misura erano soltanto le amministrazioni pubbliche. Cioè, in pratica solo Comuni, province e Regioni, tra gli enti più interessati dal sistema degli appalti. Dal primo luglio questo steccato salta. E nel recinto dello split payment finiscono anche tutte le società partecipate. Dunque, anche Consip, Ferrovie, Anas, ex municipalizzate, ordini professisonali. Insomma praticamente tutte le stazioni appaltanti.

Il mercato di riferimento
Qualche numero ci aiuta a capire le dimensioni del fenomeno, limitandoci al settore delle opere pubbliche. In base ai dati Cresme, nel 2016 amministrazioni centrali dello Stato, Comuni, regioni e province hanno bandito gare per di 9 miliardi su un totale di 19,7. In questa quota sono i Comuni a fare la parte del leone con bandi per 4,7 miliardi. Con l'allargamento dello «split» alle società partecipate imprese e progettisti cominceranno a non riceve più l'Iva anche dalle Ferrovie (gare per 1,6 miliardi nel 2016), dall'Anas (appalti per 2,3 miliardi) e da tutte le altre aziende speciali (3,1 miliardi), senza contare i rivoli riferiti a una serie di altri entri, come ad esempio quelli che si occupano di edilizia abitativa (790 milioni). Insomma, a stare stretti, dal primo luglio, il campo di applicazione dello split payment abbraccerà un nuovo mercato di altri 9 miliardi. Finendo per assorbire tutto il mercato di riferimento per costruttori e professionisti attivi nel settore pubblico.

Gli effetti sulle imprese e i progettisti
Un settore che di suo già non naviga nell'oro e che sconta gli effetti di una crisi in atto da circa dieci anni, da dopodomani dovrà fare i conti con una nuova stretta di liquidità. «Che avrà effetti devastanti - attacca Antonio Ciucci, Ad della Ircop Costruzioni generali -. Soprattutto perché si applicherà a imprese che oramai tra concorrenza esasperata e corsa ai ribassi hanno marginalità molto basse e da domani si vedranno costrette ad anticipare l'Iva per conto dello Stato, in attesa di rimborsi che hanno tempi medi di 8-12 mesi».

«Quando si tratterà di pagare fornitori e materiali - esemplifica Alfredo Ingletti, presidente della società di ingegneria 3TI progetti - dovremo versare “costo più Iva”, dunque diciamo un corrispettivo di 122. Quando si tratterà di essere pagati per il progetto per cui abbiamo acquistato questi servizi o materiali riceveremo 78. Basta questo a far capire quanto è insostenibile questa operazione. A voler stare bassi, significa che su un fatturato di cinque milioni almeno un milione se ne andrà in costi Iva».

Questo è il punto cruciale, perchè l'Iva dovrebbe essere un'imposta neutrale - non un costo - per le imprese. E gli effetti dello split payment non sarebbero così pesanti se funzionasse la macchina dei rimborsi. «È vero che una qualche accelerazione c'è stata- riconosce Marco Zandonà, direttore del servizio fiscale dell'associazione costruttori (Ance) -. Ora sarà l'Agenzia delle Entrate a rimborsare direttamente l'Iva con i propri fondi. L'obiettivo dichiarato sarebbe quello di limitare i tempi di rimborso a tre mesi. Ma è una speranza, mentre spesso i tempi salgono anche a sei mesi o addirittura un anno». Ci sono imprese, segnala Zandonà «che rischiano di chiudere nel frattempo». Già oggi «molti costruttori sono stati costretti a chiedere finanziamenti bancari per poter pagare l'Iva». Da dopodomani il fenomeno rischia di allargarsi a macchia d'olio.

Le soluzioni alternative proposte dai costruttori
Secondo i dati citati dall'Agenzia delle Entrate l'applicazione dello split payment avrebbe permesso allo Stato di recuperare 3,5 miliardi di gettito Iva tra il 2015 e il 2016. «Nessuno mette in dubbio la finalità - continua Zandonà - ma bisogna trovare un modo per neutralizzare gli effetti che rischiano di essere disastrosi per l'intero settore degli appalti e delle forniture pubbliche».

Tre le idee messe sul piatto dall'Ance, in vista della prossima legge di Bilancio. La prima è il rimborso immediato dell'iva. «Ora la richiesta può essere fatta ogni tre mesi. Poi, se va bene, bisogna attenderne altri tre o sei - dice Zandonà -. Bisogna permettere di chiedere i rimborsi quanto meno mese per mese». La seconda proposta è quella di rendere l'imposta neutra, consentendo alle imprese che non ricevono l'Iva dalle società pubbliche e dalle partecipate di non versarla ai propri fornitori e noleggiatori, sfruttando lo schema del «reverse charge»: in pratica una sorta di split payment tra privati (che ora vale solo per i subappalti). Terza idea: «Visto che l'intento dichiarato dallo Stato è quello di recuperare soprattutto la microevasione Iva - conclude Zandonà - proponiamo di applicare lo split payment soltanto a operazioni sotto una certa soglia». Così, è il ragionamento, si manterrebbe l'obiettivo, ma se ne limiterebbe gli effetti negativi sulla cassa delle imprese.

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