Fisco e contabilità

Professionisti, alla Consulta la «stretta» sui compensi dei Ctu per le perizie sugli immobili

di Giuseppe Latour

Si apre la strada a un clamoroso ritocco delle norme in materia di consulenze tecniche dei professionisti. La norma del Codice di procedura civile, introdotta dal decreto sui fallimenti (Dl n. 83 del 2015), che rivedeva le regole sui compensi, parametrando le parcelle al prezzo di vendita dei beni oggetto di pignoramento, potrebbe essere dichiarata illegittima. Il tribunale di Vicenza ha, infatti, chiesto alla Corte costituzionale di pronunciarsi sulla legge (articolo 161, comma 3 delle disposizioni di attuazione del Codice civile), considerando irrazionali i parametri che istituisce per il calcolo delle parcelle. A spiegarlo è una nota del Consiglio nazionale degli ingegneri.

La questione – va ricordato – nell'estate del 2015 è stata al centro di una durissima polemica tra i professionisti e il Governo. Il decreto legge sui fallimenti, infatti, ha rivisto le regole sui compensi dei professionisti che si occupano di stimare i beni oggetto di pignoramento. Le loro parcelle, da quel momento, sono state commisurate al prezzo di vendita effettiva (e non di stima) e, inoltre, possono essere liquidate solo una volta che l'immobile sia stato effettivamente ceduto. Due clausole capestro che hanno molto penalizzato i Ctu.

Il problema risiede nel fatto che dal momento della stima possono passare anche molti anni prima che il bene sia effettivamente venduto. Il che comporta un inaccettabile rinvio del pagamento dei compensi dovuti al professionista per la prestazione erogata. Inoltre, a volte i beni pignorati sono venduti a cifre più basse rispetto a quelle stimate e questo determina un grave danno economico per i professionisti, che di fatto partecipano al rischio della vendita. Il meccanismo del compenso differito porta, poi, una conseguenza paradossale: poiché la legge prevede la possibilità di liquidare all'esperto fino al 50% delle sue spettanze sulla base del valore di stima, nel caso il cui, per mutate condizioni di mercato o per altre ragioni, il bene fosse venduto ad una cifra significativamente inferiore rispetto al valore stimato, il professionista si vedrebbe costretto, magari a distanza di anni, a restituire una parte del compenso ricevuto.

Adesso, questo meccanismo potrebbe saltare. Il tribunale di Vicenza ha, infatti, depositato un'ordinanza nella quale solleva la questione di legittimità dell'articolo 161 delle disposizioni attuative del Codice di procedura civile. La norma sarebbe, secondo il giudice, irragionevole. Non si spiega, infatti, per quale ragione la liquidazione del bene debba avvenire sulla scorta del valore di vendita finale, quando viene chiesto di effettuare la stima del valore di mercato. Inoltre, non è chiaro perché prende come valore di riferimento un'entità (il valore di vendita), «che tuttavia non pare pronosticabile a priori e dipende da fattori imponderabili da parte dell'esperto».

In un altro passaggio, poi, il giudice qualifica la prestazione del perito come obbligazione di mezzi e non di risultato. Per questo motivo, allora, appare «irragionevole porre a carico dell'esperto l'alea degli eventi che possono incidere sul valore finale dell'aggiudicazione e che non dipendono dalla sua condotta o dalle sue capacità di previsione». In altre parole, non gli si possono addossare le conseguenze di un'eventuale vendita a prezzo ribassato. In sostanza, quindi, la norma «appare in contrasto con gli articoli 41 e 117 della Costituzione, in quanto pare limitare irragionevolmente la libertà di iniziativa economica, e ciò sia nella parte in cui parametra il compenso al valore di vendita, sia nella parte in cui ne rinvia la liquidazione alla vendita del bene, consentendo prima di tale momento solamente la liquidazione di acconti, non superiori al 50%». In aggiunta, la norma non rispetterebbe il diritto del lavoratore a ricevere una retribuzione adeguata e proporzionale alla quantità e qualità del lavoro svolto. Sarà la Consulta, adesso, a giudicare sul caso.

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