Fisco e contabilità

Ctu premono per la riforma sui fallimenti: ai professionisti non devono essere chiesti indietro i soldi dell'acconto

di Giuseppe Latour

Impedire che ai professionisti vengano chiesti indietro i soldi dell'acconto. E sganciare il compenso dal prezzo di vendita reale, parametrandolo invece al prezzo stimato. Sono le due proposte chiave che la Rete delle professioni tecniche ha portato al ministero della Giustizia, chiedendo di modificare le norme della riforma sui fallimenti, in vigore da quest'estate, che hanno mandato nel caos il mondo dei Ctu italiani, in particolare quelli impegnati nelle perizie sugli immobili da mettere all'asta. Saranno la base per una revisione in arrivo.

Il problema nasce dall'ultima riforma in materia di fallimenti, il decreto n. 83 del 2015, convertito dalla legge n. 132 del 6 agosto 2015. Il provvedimento, entrato in vigore lo scorso 21 agosto, all'articolo 14 integra le disposizioni attuative del Codice di procedura civile in materia di beni da pignorare e prevede che "il compenso dell'esperto o dello stimatore nominato dal giudice o dall'ufficiale giudiziario è calcolato sulla base del prezzo ricavato dalla vendita". Inoltre, prima della vendita "non possono essere liquidati acconti in misura superiore al cinquanta per cento del compenso calcolato sulla base del valore di stima".

Quindi, la norma agisce su due elementi: l'ammontare dei compensi e il tempo del pagamento effettivo.
In questo modo, però, arriva un rinvio del pagamento dei compensi dovuti al professionista per la prestazione erogata, perché il momento della vendita può arrivare anche a molto tempo di distanza. Inoltre, capita che i beni pignorati siano venduti a cifre più basse rispetto a quelle stimate; questo determinerà un grave danno economico per i professionisti che, di fatto, parteciperanno al rischio che deriva dal processo di vendita. Il meccanismo del compenso differito porta, poi, una conseguenza paradossale: nel caso il cui, per mutate condizioni di mercato o per altre ragioni, il bene fosse venduto ad una cifra significativamente inferiore rispetto al valore stimato, il professionista si vedrebbe costretto, magari a distanza di anni, a restituire una parte del compenso già ricevuto.

Su questo pacchetto di norme, dopo le proteste della prima ora, è stato avviato allora un dialogo con il Governo: «Per porre rimedio a tale stato di cose – spiegano dalla Rete delle professioni tecniche – la Rpt si è subito attivata, sensibilizzando il ministro della Giustizia sul tema ed affidando al gruppo di lavoro coordinato dal presidente del Consiglio nazionale dei geometri, Maurizio Savoncelli, l'avvio di una interlocuzione con gli uffici del ministero».

Il dicastero si è detto disponibile a modificare la norma.
Così, i professionisti hanno già depositato una loro proposta, che sarà la base del lavoro dell'esecutivo. La premessa è che la strada migliore sarebbe abrogare la norma. Se, però, la si volesse lasciare in vita, bisogna sicuramente modificare il meccanismo che aggancia l'acconto al prezzo di vendita; bisogna fare necessariamente riferimento al valore di stima del bene, "in modo da sottrarre le modalità di liquidazione del corrispettivo ad un'ulteriore fonte di pregiudizio". Il secondo accorgimento necessario è che "la somma versata a titolo di acconto al valutatore dovrà considerarsi al netto delle spese e dei costi sostenuti per le operazioni di valutazione". Inoltre, l'acconto andrà sottratto a qualsiasi possibile "richiesta di ripetizione". In questo modo si evita che, in caso di vendita a un prezzo troppo basso, il professionista vada a rimetterci.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©