Urbanistica

Permessi, il termine per i ricorsi deve essere calcolato dalla data di inizio lavori

Lo ha ribadito il Consiglio di Stato bocciando le obiezioni sollevate dai proprietari confinanti con un edificio oggetto di ricostruzione con bonus volumetrico in Veneto

di Pietro Verna

Il momento da cui computare il termine decadenziale di proposizione del ricorso nell'ambito dell'attività edilizia deve essere individuato nell'inizio dei lavori, nel caso si sostenga che nessun manufatto poteva essere edificato nell'area ovvero laddove si contesti la violazione delle distanze, fermo restando che il ricorrente non può limitarsi a invocare la vicinitas ma deve anche provare il reale pregiudizio derivante dall' intervento contestato. Prova in mancanza della quale viene meno «un dato decisivo per fondare l'interesse ad impugnare» (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 7 febbraio 2020, n. 962).

In questi termini, il massimo organo di giustizia amministrativo ha confermato la sentenza n. 873 del 5 luglio 2018 del Tar Veneto che aveva dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso il permesso di costruire con il quale il Comune di Padova aveva autorizzato la demolizione di un immobile costituito da due piani fuori terra e la sua successiva ricostruzione, con contestuale ampliamento realizzato mediante la volumetria residua aumento del lotto e l'aumento di cubatura (c.d. bonus volumetrico) contemplato dall' art. 3 della legge Regione Veneto 8 luglio 2009, n. 14 (Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l'utilizzo dell'edilizia sostenibile).

Autorizzazione contro la quale erano insorti i proprietari di alcuni edifici finitimi, chiedendone l'annullamento: l'amministrazione comunale avrebbe dovuto verificare se l'urbanizzazione primaria esistente fosse sufficiente ad assorbire il maggior carico urbanistico derivante dall'esecuzione dell'intervento di ampliamento, «previa specifica verifica del rispetto matematico delle proporzioni contenute nel D.M. n. 1444/1968». Richiesta che il Tar aveva respinto per due ordini di motivi. In primis perché i ricorrenti non avevano dimostrato « una concreta lesione della loro sfera giuridica». In secondo luogo perché il ricorso era risultato tardivo («i lavori del fabbricato sono iniziati nel 2014, la prima istanza di accesso agli atti è stata presentata nel giugno 2017 ed evasa dal Comune il 13 luglio 2017, il ricorso è stato notificato il 27 ottobre 2017 e cioè oltre il termine decadenziale individuato nel 12 ottobre 2017 »).

La sentenza del Consiglio di Stato
Dinanzi ai giudici Palazzo Spada i ricorrenti avevano eccepito di aver avuto piena conoscenza del permesso di costruire soltanto all'esito della seconda domanda di accesso agli atti (4 agosto 2017) e che l'interesse a ricorrere per l'annullamento di un titolo edilizio sarebbe disceso in loro favore dalla "posizione qualificata" di proprietari finitimi all'erigendo edificio, « senza […] effettuare indagini in ordine al concreto pregiudizio che i lavori fossero in grado di produrre». Argomentazioni che la sentenza in narrativa ha respinto alla luce dell'indirizzo giurisprudenziale secondo cui:

- la "piena conoscenza" idonea a far decorrere il termine perentorio di sessanta giorni per l'impugnazione del provvedimento amministrativo, non deve essere intesa quale "conoscenza piena ed integrale" del provvedimento stesso, dovendosi invece ritenere che sia sufficiente ad integrare il concetto la percezione dell'esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere percepibile l'attualità dell'interesse ad agire contro di esso ( ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenze 23 maggio 2018, n. 3075 e 6 ottobre 2015, n. 4642 ). Piena conoscenza che nel caso di specie è stata desunta da elementi incontrovertibili quali la residenza degli appellanti in prossimità del luogo di edificazione, la presenza del cartello lavori, il tempo trascorso (circa tre anni fra l'inizio dei lavori nel 2014 e la notifica del ricorso di primo grado il 28 ottobre 2017) e lo stato di avanzamento dei lavori (verbale dei vigili urbani sull'ultimazione degli stessi).
- la sussistenza del requisito della vicinitas - in caso di impugnazione di titoli edilizi - non costituisce elemento sufficiente a comprovare la legittimazione a ricorrere e l'interesse al ricorso, occorrendo invece la positiva dimostrazione di un danno che attingerebbe la posizione di colui il quale insorge giudizialmente ( Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 22 novembre 2017, n. 5442). Motivo per il quale il ricorrente deve fornire la prova del pregiudizio patito e patiendo (sia di carattere patrimoniale o di deterioramento delle condizioni di vita o di peggioramento dei caratteri urbanistici che connotano l'area) a causa dell'intervento edilizio (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15 dicembre 2017 n. 5908).

La sentenza del Consiglio di Stato

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