Urbanistica

Consiglio di Stato: il rilascio del certificato di agibilità non è il «salvacondotto» dell'abuso edilizio

L'immobile munito di certificato di agibilità, ma realizzato in modo difforme dal progetto, può essere demolito senza una motivazione particolare e a prescindere del tempo trascorso

di Pietro Verna

L'immobile munito di certificato di agibilità, ma realizzato in modo difforme dal progetto approvato, può essere demolito senza una motivazione particolare ed a prescindere del tempo trascorso tra la realizzazione dell'abuso e l'adozione dell'ordinanza di demolizione (Consiglio di Stato, Sez.VI, sentenza 29 novembre 2019, n.8180). In questi termini, il massimo organo di giustizia amministrativo ha ribaltato la pronuncia del Tar Abruzzo- L'Aquila che aveva accolto il ricorso proposto contro il provvedimento con il quale il Comune di Giulianova a seguito di una denuncia aveva ordinato la demolizione di opere abusive («mutamento di destinazione d'uso del piano terra da garage a locale commerciale, maggiore altezza anche dell'intero fabbricato da 15 a 17,20 m., variazione di quote e dei distacchi dai confini, diversa distribuzione degli spazi interni») realizzate su un immobile ricadente nella zona sottoposta a vincolo paesaggistico.

La vicenda processuale
Nel giudizio di primo grado, i proprietari dell'immobile avevano chiesto l'annullamento dell'ordinanza di demolizione per difetto di motivazione evidenziando che la costruzione era stata realizzata nel 1966 in base a licenza edilizia, che i lavori erano stati ultimati nel 1969 «con parziale modificazione degli originali elaborati di progetto», che nel medesimo anno era stato rilasciato il certificato di agibilità attestante «la conformità tra il realizzato e l'assentito», e che da allora l'Ente locale non aveva formulato alcun rilievo. Circostanze che avevano ingenerato nei proprietari «l'affidamento sulla legittimità dell' opera realizzata, indotta dal comportamento dell'amministrazione incompatibile con la persistenza in capo al responsabile dell'obbligo di rimozione dell'abuso ». Di qui la decisione del Tar secondo cui l'Ente locale avrebbe dovuto «verificare l'esistenza della buona fede degli interessati [e] fornire una specifica motivazione sull'interesse pubblico al ripristino […], considerato che la conformità era stata esplicitamente attestata nel procedimento di rilascio della licenza di agibilità».

La pronuncia del Consiglio di Stato
Diversamente da quanto deciso dal giudice di primo grado, il Consiglio di Stato ha confermato l'indirizzo giurisprudenziale a mente del quale il permesso di costruire ed il certificato di agibilità sono collegati a presupposti diversi, non sovrapponibili fra loro, in quanto il titolo edilizio è finalizzato all'accertamento del rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche, mentre il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che l'immobile sia stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti. Con la conseguenza che il rilascio del certificato di agibilità non preclude al Comune la possibilità di contestare successivamente la presenza di difformità rispetto al titolo edilizio, né costituisce rinuncia implicita a esigere il pagamento dell'oblazione in caso di sanatoria (ex multis, Consiglio di Stato: Sez. IV, sentenza 24 ottobre 2012 n. 5450; Sez. V, sentenza 29 maggio 2018, n. 3212), nemmeno nel caso in cui l'immobile sia stato accatastato ( Tar Toscana, sentenza 11 marzo 2019 n. 348). Fermo restando che non sussiste alcun obbligo di motivare l'ordinanza di demolizione adottata a distanza di anni dall'abuso (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria del 17 ottobre 2017).

Decisione, quest'ultima, che ha confermato l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui :
1) il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell'interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell'intervento ( Consiglio di Stato, Sez. VI: sentenza 27 marzo 2017, n. 1386; sentenza 6 marzo 2017, n. 1060);
2) l'ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è un atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale, «non potendo neppure ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva » ( Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28 febbraio 2017, n. 908).

Ciò in "stretta" aderenza all'art. 31, comma 4-bis, terzo periodo, del testo unico dell'edilizia (introdotto dall'art. 17 comma 1, lettera q-bis, del decreto legge n. 133/2013) in forza del quale la mancata o tardiva emanazione del provvedimento sanzionatorio «costituisce elemento di valutazione della performance individuale nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente».

La sentenza del Consiglio di Stato

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