Urbanistica

Vendere (con profitto) un'area a standard ottenuta gratis? Il Comune può farlo

di Guglielmo Saporito

Il Comune può liberamente vendere un'area ottenuta gratuitamente, al momento del rilascio di una lottizzazione edilizia. Lo sottolinea il Consiglio di Stato (con la sentenza n. 4068/2019), decidendo a favore dell'ente locale una lite su circa 7mila mq acquisiti come “area a standard” in un piano di insediamenti produttivi. Sull'area ottenuta dal privato, l'ente aveva poi realizzato un magazzino comunale, inserito poi nell'elenco dei beni da alienare (art. 27 DL 201 / 2011) per oltre 1,5 milioni di euro. Secondo i lottizzanti originari, l'operazione avrebbe generato un indebito arricchimento del Comune: di qui il ricorso avverso la trasformazione della destinazione d'uso, passata da verde pubblico e parcheggio (“standard”) ad area utilizzabile per attività produttive. Si sosteneva infatti che le aree acquisite per uso pubblico non potessero cambiare destinazione, nemmeno alla scadenza della convenzione di lottizzazione, dovendo permanere una fruizione collettiva.

Questa tesi non è stata condivisa dai giudici, che ritengono possibile immettere sul mercato aree originariamente destinate ad usi pubblici (standard) in base a convenzioni urbanistiche, se i cambiamenti incidano in modo tollerabile sulle situazioni consolidate dei lottizzanti o dei loro aventi causa. Nel caso esaminato, era emerso che la contrazione delle aree di parcheggio non avrebbe espulso aziende già insediate nè avrebbe generato maggiori costi o disagi: può quindi prevalere l'interesse del Comune alla monetizzazione degli immobili. In altri termini, l'amministrazione gode di discrezionalità nel decidere le sorti delle aree di sua proprietà ritenute non più necessarie all'esercizio delle funzioni istituzionali.

Le convenzioni urbanistiche sono quindi sensibili alla sopravvenienza di interessi pubblici, essendo valide «rebus sic stantibus», purché vi sia un' adeguata motivazione sulla necessità di sacrificare le eventuali legittime aspettative dei privati. Nel caso specifico, oltretutto, la vendita di un'aria triste come parcheggio manteneva la normale quota di standard urbanistici (art. 3 DM 1444/1968), cioè i corretti rapporti tra spazi edificabili e quelli pubblici. Tali standard assolvono infatti ad una funzione di equilibrio dell'assetto territoriale e di salvaguardia dell'ambiente e della qualità di vita, e non possono quindi essere compressi privando le zone di verde o parcheggi.

Esaminando un caso analogo, il Tar Brescia (366/2002) si è occupato della richiesta di un permesso di costruire su un'area rimasta di proprietà privata anche se avrebbe dovuto essere ceduta come standard (verde o parcheggi): lo stesso Comune, a distanza di tempo, aveva cambiato destinazione all'area, rendendola edificabile, e quindi, secondo i giudici, non poteva negare al privato la possibilità di costruire sull'area che non gli era mai stata chiesta. Diverso è invece il caso dell'area ceduta dal privato, per l'esecuzione di un'opera pubblica che non venga realizzata: la Cassazione (11208/2000) conferma il potere del Comune di cambiare la destinazione all'area, anche se il privato può chiedere (Dlgs 327/2001) la retrocessione della proprietà ceduta al Comune.

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