Urbanistica

Distanze, il Tar manda alla Consulta la norma del piano casa veneto che consente deroghe ai vincoli comunali

di Mauro Salerno

La norma del Piano casa veneto che permette di derogare ai limiti di distanza imposti dalle regole comunali non è in linea con la Costituzione. È quello che pensa il Tribunale amministrativo regionale che per questo motivo ha chiesto alla Consulta di pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’articolo 64 della legge locale sul piano casa (Lr 30/2016).

Il punto chiave riguarda il rispetto delle distanze dai confini imposte dai regolamenti comunali che secondo il Tar rientra nella materia dell «ordinamento civile», rimesso alla potestà legislativa esclusiva dello Stato e non in quella del «governo del territorio» dove scendono in campo le Regioni.

«Sotto questo profilo - si legge nella sentenza che chiama in causa la Consulta - la norma regionale di cui all'art. 64 della legge regionale 30 dicembre 2016, n. 30, nella parte in cui consente di non rispettare le distanze dai confini stabilite dagli strumenti urbanistici e dai regolamenti locali integrative dell'art. 873 c.c., a giudizio del Collegio risulta pertanto invasiva della competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile».

Per i giudici inoltre la norma viola anche i confini dell’autonomia normativa comunale «avendo esautorato i Comuni dal disciplinare in conformità con le specifiche esigenze di un ordinato sviluppo del proprio territorio ed in modo equo i rapporti tra i proprietari confinanti per una intera categoria di interventi edilizi che corrispondono a quelli attuativi della legge sul piano casa».

Contestata anche la violazione dell’articolo 3 della Costituzione «sotto il profilo della ragionevolezza e della disparità di trattamento» dei cittadini. «Infatti - argomentano i giudici - la previsione, nell'ambito degli strumenti urbanistici e nei regolamenti comunali, di una distanza di cinque metri dal confine persegue chiaramente una finalità di carattere perequativo, imponendo una ripartizione equa, in parti uguali, del sacrificio derivante dal necessario rispetto della distanza di dieci metri da pareti finestrate prevista dal Dm 2 aprile 1968, n. 1444». Permettendo di sforare questo limite potrebbe accadere che chi apre il cantiere per primo costringe il secondo arrivato «ad arretrare per rispettare la distanza di dieci metri da pareti finestrate, compromettendo seriamente il suo diritto ad edificare qualora lo stesso non possegga una superficie residua del lotto sufficiente a conservare le facoltà edificatorie che il medesimo lotto può esprimere in base allo strumento urbanistico».

La sentenza del Tar

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