Urbanistica

La convenzione urbanistica è un contratto: niente modifiche unilaterali da parte del Comune

di Pietro Verna

Dalla natura contrattuale del rapporto instaurato tra Comune e privato con la convenzione urbanistica discende, quale necessario corollario, il carattere vincolante per entrambe le parti dell'accordo e il divieto per l'Amministrazione di apportarvi modifiche unilaterali; sicché non è consentito al Comune di incidere unilateralmente su singole previsioni della convenzione urbanistica, potendo l'Amministrazione soltanto valersi della facoltà di recesso dall'accordo per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, salva la corresponsione di un indennizzo, ai sensi dell' articolo 11, comma 4, della legge 7 agosto 1990 n. 241.

La vicenda
È quanto ha stabilito il Tar Basilicata (sentenza n. 106/2018 ) accogliendo il ricorso proposto da una società contro l'ingiunzione di pagamento, emessa dal Comune di Nova Siri, ai sensi del regio decreto 14 aprile 1910, n. 639 ( Approvazione del testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato) per la riscossione della somma di € 128.092,00 a titolo di conguaglio di oneri relativi alla retrocessione di aree comprese in un piano di lottizzazione. Ingiunzione alla quale il ricorrente si era opposto denunciando "eccesso di potere in relazione alla quantificazione del conguaglio del prezzo", perché quest'ultimo era stato determinato unilateralmente e senza che tale potere fosse previsto dalla convenzione urbanistica.

La pronuncia del Tar Basilicata
Il Comune aveva eccepito di aver agito ai sensi dell' articolo 7, comma 2, del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla legge 12 luglio 2011, n. 106 (« i Comuni effettuano la riscossione coattiva delle proprie entrate […] sulla base dell'ingiunzione prevista dal testo unico di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639»), che il credito vantato nei confronti del ricorrente era stato determinato dall'Ufficio tecnico erariale (UTE) di Matera, su incarico conferito da una delibera del Consiglio comunale, e che l'opposizione all' ingiunzione era stata presentata oltre il termine di trenta giorni previsto dall'articolo 3 del regio decreto n. 639 del 1940. Ciò, a prescindere dalla inammissibilità del ricorso «per difetto d'interesse e intervenuta acquiescenza, in quanto parte ricorrente si sarebbe limitata a impugnare l'ingiunzione di pagamento che costituisce l'atto finale di un complesso procedimento amministrativo a formazione progressiva, mentre alcuna impugnazione sarebbe stata proposta avverso [gli ] atti presupposti». Tesi che il TAR Basilicata ha respinto muovendo dall'indirizzo giurisprudenziale, secondo cui il credito in base al quale viene emesso l'ordine di pagamento ex articolo 2 del regio decreto n.639 del 1910 deve essere certo, liquido ed esigibile, dovendo la sua sussistenza, la sua determinazione quantitativa e le sue condizioni di esigibilità derivare da fonti, da fatti e da parametri obiettivi e predeterminati (da ultimo, Cassazione, Sezione I, sentenza n. 7076 del 11 aprile 2016). Fonti, fatti e parametri che il giudice amministrativo non ha intravisto nel caso di specie, in quanto la convenzione urbanistica non conferiva all' Ente locale «alcun potere di stabilire unilateralmente la sussistenza e l'ammontare del credito», con la conseguenza che quest'ultimo «non può ritenersi […] né certo, né liquido, non rinvenendo direttamente in una norma di legge, né nell'accettazione dell'impresa interessata, il titolo e gli elementi per la sua determinazione concreta».
Di qui l'illegittimità dell'ingiunzione di pagamento che- rileva la sentenza- risulta adottata senza tener conto che le convenzioni urbanistiche sono uno strumento "dichiaratamente contrattuale" (Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 1° aprile 2016, n. 2040), perché rientrano nel novero degli accordi tra privati e Pubblica Amministrazione, con l'effetto che quest'ultima non può apportarvi modifiche unilaterali (ex pluris, Consiglio di giustizia amministrativa, sentenza 1°febbraio 2001, n.20).
Fermo restando che le altre argomentazioni addotte dal Comune a sostegno della tesi difensiva sono prive di pregio, in quanto: a) l'inutile decorso del termine di trenta giorni di cui all'articolo 3 del regio decreto n. 639 del 1910 non preclude al debitore di contestare l'esistenza del credito preteso dall'amministrazione (Cassazione Sezione I, sentenza 28 gennaio 2015, n. 1615; Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 9 marzo 2012, n. 3689); b) tutti gli atti endoprocedimentali (nel caso di specie, la comunicazione dell' avvio del procedimento amministrativo inteso ad affidare all' U.T.E. l'incarico di procedere alla stima delle aree retrocesse, la deliberazione consiliare di affidamento dell' incarico e gli atti di diffida e messa in mora) sono sprovvisti di autonoma lesività ( Consiglio Stato, Sezione IV, sentenza 12 maggio 2016, n. 1913).

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