Urbanistica

Edilizia privata/1. Ampliamenti più facili per l'industria: ok del Tar alle varianti semplificate

È ammissibile il ricorso alla variante semplificata, disciplinata dal Dpr 160/2010, nel caso di ampliamento di uno stabilimento esistente, che per forza di cose non può essere fatto altrove. È quanto statuisce il Tar Brescia con la sentenza 180 del 14 febbraio scorso che precisa che i Comuni, in queste circostanze, non sono tenuti a effettuare indagini approfondite sulla possibilità di ritrovare altrove l’area e quindi motivare di conseguenza.

La variante semplificata è prevista dall’articolo 5 del Dpr 447/1988, poi trasfuso nell’articolo 8 del Dpr 160/2010 con cui il legislatore ha voluto introdurre una misura di semplificazione urbanistica per agevolare l’inserimento di strutture produttive nel territorio comunale. I presupposti per ricorrere alla variante light sono due:

- l’assenza o l’insufficienza di aree destinate all’insediamento di impianti produttivi nel piano regolatore;

- l’esistenza di un progetto volto all’attivazione di un’attività produttiva.

In presenza di questi presupposti, colui che vuole insediare in una certa area un’attività produttiva (o vuole ampliarla) può attivare la procedura dell’articolo 8 del Dpr 160/2010 (che in alcune Regioni viene dettagliata attraverso previsioni regionali, si veda la scheda a fianco) in luogo della più complessa procedura ordinaria, che vuole l’approvazione di una variante urbanistica secondo il medesimo iter stabilito dalla normativa regionale per l’approvazione del piano regolatore, con un allungamento dei tempi e l’acquisizione di pareri in forma più complessa.

La variante semplificata, invece, si concentra nello svolgimento di una conferenza di servizi, in seduta pubblica, con tutte le amministrazioni interessate, inclusa la Regione. Se la conferenza di servizi approva la variante con l’assenso del rappresentante regionale, il verbale viene votato in Consiglio comunale.

Uso esteso della procedura

Nella prassi si registra una tendenza ad allargare le maglie applicative della procedura semplificata e, per questo, la giurisprudenza è stata spesso chiamata a intervenire valutando, caso per caso, se il ricorso all’articolo 8 del Dpr 160/2010 fosse legittimo o meno.

Il caso esaminato dal Tar Brescia, ha riguardato la possibilità che anche gli ampliamenti alle attività esistenti possano beneficiare della variante semplificata. E quali accertamenti devono fare i Comuni nel caso, appunto, di ampliamenti: sono tenute a un controllo di dettaglio circa la sufficienza di standard sull’intero territorio comunale o possono condurre un’istruttoria limitata al singolo progetto che richiede la variante? Il Tar Brescia aderisce a questa seconda ipotesi.

La sentenza

Il punto di partenza dei giudici lombardi è che la procedura semplificata di variante urbanistica ha carattere eccezionale e derogatorio. Sicché i Comuni devono accertare con precisione l’esistenza di questi presupposti, in modo oggettivo, in relazione al singolo progetto (Consiglio di Stato, sezione IV sentenza 4473 del 26 settembre 2017).

Ma il Tar ricorda anche la ratio della normativa, ossia il favor per lo sviluppo delle attività produttive. Nozione che per il Tar comprende tutte le attività di impresa, quindi l’utilizzo della variante semplificata è legittimo anche per l’ampliamento di edifici già esistenti.

Il presupposto dell’impossibilità di reperire aree deve essere puntualizzato e riferito allo specifico progetto per cui viene avviata la procedura semplificata (Consiglio di giustizia amministrativa siciliano, sentenza 479 del 23 dicembre 2016).

Per il giudici lombardi l’iter istruttorio deve contemperare anche l’interesse del privato (e quindi la fattibilità dello specifico progetto) a favorire una comoda ed efficace espansione dell’attività produttiva e, per tale ragione, è irrilevante che nel territorio comunale vi siano altre aree produttive, atteso che l’ampliamento presuppone la costruzione nelle vicinanze dell’attività esistente.

Vedi le schede: Le regole regionali di dettaglio

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