Urbanistica

Permesso di costruire/1. Meno tempo per i ricorsi se il cartello di cantiere è chiaro

di Guido Inzaghi

Più certezza nelle costruzioni. Il Consiglio di Stato detta le condizioni per cui il termine di 60 giorni per impugnare al Tar il permesso di costruire può coincidere con l’esposizione del cartello di cantiere. La sentenza 4830 del 18 ottobre scorso indica le concrete modalità per superare la tradizionale giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato 3777/2012 e 2295/2006), secondo cui ci sarebbe tempo per ricorrere contro il permesso di costruire pressoché fino alla fine dei lavori, perché è solo in quel momento che l’interessato può percepire la concreta portata dell’attività edilizia, valutandone l’effettiva lesività.

Ricorda anzitutto il Consiglio di Stato che l’apposizione del cartello di cantiere assolve proprio alla funzione di esporre al pubblico i titoli edilizi rilasciati e i nominativi dei responsabili dell’attività edilizia in corso, per consentire ai terzi di far valere le proprie ragioni eventualmente lese dall’attività edilizia.

Di conseguenza, è onere del ricorrente attivarsi immediatamente presso i competenti uffici comunali per prendere visione del progetto.

I giudici amministrativi chiariscono tuttavia che la richiesta di accesso in Comune non può differire i termini di proposizione del ricorso qualora l’interessato, che si ritiene leso dalla costruzione, attraverso il cartello di cantiere sia stato reso edotto degli estremi del titolo edilizio: infatti, se per un verso deve essere assicurata al vicino la tutela in sede giurisdizionale dei propri interessi nei confronti di un intervento edilizio, per altro verso deve parimenti essere salvaguardato l’interesse del costruttore a che l’esercizio della tutela venga attivato senza indugio e non irragionevolmente o colposamente differito nel tempo, per evitare incertezza nelle situazioni giuridiche in contrasto con il principio dell’affidamento.

Qui sta la vera novità della decisione, che ha il pregio di chiarire che l’apposizione del cartello è sufficiente a far decorrere i termini per l’impugnativa se le informazioni previste dall’articolo 27, comma 4, del Dpr 380/2001 sono integrate da una descrizione accurata dei lavori, che consenta l’immediato esame delle caratteristiche del progetto in via di realizzazione.

Nel caso esaminato da Palazzo Spada, le specifiche sul cartello rendevano evidente che sarebbero stati realizzati sia una casa di abitazione, sia un fienile. Inoltre, prosegue la sentenza, la notizia della nuova costruzione era stata riportata sui mass media locali, rendendo così incontrovertibile che il ricorrente avesse conosciuto l’intervento progettato ben prima della fine lavori.

La decisione nella sostanza dunque suggerisce – con portata innovativa sia pure nel solco di un precedente indirizzo giurisprudenziale (Consiglio di Stato 3191/2016) – quali possano essere le modalità attraverso cui il costruttore può escludere che durante tutta la durata dei lavori - che per legge può protrarsi per tre anni, salvo proroga del titolo edilizio – penda il rischio che ad opere finite sopraggiunga un ricorso. Ricorso che si manifesta tanto più doloroso in quanto alla fine le opzioni di modifica del progetto o di rifare il procedimento non sono pressoché più possibili.

La certezza delle costruzioni, che è dunque possibile conseguire con una accorta pubblicizzazione dell’attività edilizia, manifesta positive conseguenze sia rispetto alle rilevanti trasformazioni del territorio, sia riguardo agli interventi minori.

Specie nella realizzazione delle grandi strutture produttive, commerciali e logistiche, gli edifici sono costruiti secondo le prescrizioni dell’utilizzatore finale (build to suit) e sono pagati (al di là degli acconti versati in corso d’opera, comunque controgarantiti) e acquisiti solo all’ultimazione dell’opera.

Il rischio che in quel momento il permesso di costruire sia impugnato è pertanto idoneo a far saltare tutta l’operazione: da un lato l’acquirente/utilizzatore non accetta un edificio la cui legittimità possa essere posta in dubbio a posteriori mentre, dall’altro lato, il costruttore/venditore non sopporta la prospettiva di rimanere proprietario di un immobile costruito su misura per un utilizzatore che potrebbe non ritirarlo per l’insorgere di un ricorso la cui definizione dura anni.

Anche nelle opere minori (quali gli ampliamenti da efficienza energetica, recupero dei sottotetti o piano casa) il rischio dell’impugnazione è tanto più insopportabile perché i vicini, di solito, per andare al Tar preferiscono attendere la fine dei lavori in modo da negoziare al meglio il ritiro del ricorso.

La sentenza del Consiglio di Stato

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