Urbanistica

Cassazione: committente responsabile dei danni ai vicini causati durante i lavori di ristrutturazione

di Giulio Benedetti

La Corte di Cassazione (ordinanza n. 27554/2017) ha confermato, nei confronti di una proprietaria di un appartamento, la condanna al risarcimento del danno patrimoniale e biologico e di natura temporanea (per intossicazione da monossido di carbonio) cagionato ad una vicina a seguito della ostruzione della canna fumaria a servizio del suo appartamento dovuta all'esecuzione di lavori di ristrutturazione edilizia effettuati all'interno dell'abitazione soprastante. Inoltre la Corte ha confermato la riduzione del danno , nella misura del 25%, pari al concorso di colpa della danneggiata , ex art. 1227 comma primo c.c., per avere utilizzato un impianto di riscaldamento non a norma che era stato sequestrato dai funzionari dell'Azienda sanitaria.

La Corte non ha ritenuto sussistente la difesa della proprietaria la quale affermava di essere esente da responsabilità poiché l'otturazione della canna fumaria era stata cagionata dalla impresa appaltatrice, mediante la rottura di un muro e la caduta di calcinacci nella canna fumaria , e perchè non risiedeva nell'immobile dove veniva la sera per indicare alcuni dettagli nella ristrutturazione. Il Collegio ha applicato il principio di diritto per cui , in materia di appalto che non implichi il totale trasferimento all'appaltatore del potere di fatto sull'immobile nel quale deve essere eseguita l'opera appaltata , non viene meno per il committente e detentore del bene il dovere di custodia e di vigilanza e con esso la conseguente responsabilità di cosa in custodia ex art. 2051 c.c..

Tale norma genera un obbligo che essendo di natura oggettiva , nasce in ragione della sola sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha determinato l'evento.

Secondo l'art. 2051 c.c. spetta al proprietario – committente di assolvere all'onere della prova liberatoria, dimostrando di avere affidato integralmente il potere di fatto sull'immobile alla ditta appaltatrice e di non avere svolto alcuna ingerenza nella esecuzione dei lavori appaltati.

La Corte afferma che l'avere affidato in appalto la ristrutturazione dell'immobile non consente in alcun modo di desumere le modalità di affidamento (totale o parziale) della custodia dell'immobile, né consente di escludere che la proprietaria – committente non sia affatto intervenuta a dare indicazioni per la esecuzione dei lavori . Infine la Corte conferma il concorso di colpa della danneggiata nella misura del 25% poiché non è stato dimostrato quali iniziative avrebbe potuto assumere per contenere , con certezza probabilistica , il danno e in quanto la condannata non ha assolto all'onere della prova di dimostrare le ragioni che avrebbe dovuto sostenere la danneggiata per ottenere il dissequestro dell'impianto già accertato dalla Asl non conforme alle norme di sicurezza e quali tra i danni subiti sarebbero stati certamente ridotti qualora la danneggiata avesse intrapreso le azioni dovute , tenuto conto della istantaneità del danno alla persona e dei costi sostenuti per l'acquisto dei beni occorrenti a rimpiazzare l'inutilizzabile impianto di riscaldamento

. La Corte afferma che l'ipotesi disciplinata dall'art. 1227, secondo comma c.c., che esclude il risarcimento del danno che il creditore avrebbe dovuto evitare usando l'ordinaria diligenza, è un' eccezione in senso stretto e grava dunque sul debitore il relativo onere della prova. Tale onere non è stato assolto dalla proprietaria dell'immobile in ristrutturazione che pertanto ne paga le conseguenze pecuniarie e consistenti nel predetto risarcimento del danno.

L'ordinanza della Corte di Cassazione

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