Urbanistica

Titoli abilitativi/1. Ecco come funziona il risarcimento per il permesso rifiutato

Il danneggiato da un illegittimo provvedimento di diniego al rilascio di un permesso di costruire, per ottenere il risarcimento del danno, non deve puntualmente provare la colpa della pubblica amministrazione. Lo ha chiarito il Consiglio di Stato aggiungendo con la sentenza del 2 febbraio scorso (la n. 602) un altro importante tassello alla giurisprudenza in materia di risarcimento del danno causato dall’ illegittimo diniego di un permesso di costruire.

L’articolo 20 del Testo unico edilizia nella formulazione ad oggi in vigore prevede che, se il responsabile dell’ufficio tecnico del Comune non oppone motivato diniego entro i termini stabiliti dalla legge, la domanda di permesso di costruire viene accolta per silenzio-assenso.

Gli uffici comunali, per garantire l’effettività della loro vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia e consentire che l’attività edilizia venga svolta sulla base di un titolo idoneo a generare un adeguato affidamento nei confronti dell’operatore, dovrebbero dunque esperire le proprie valutazioni e rilasciare, entro i termini di legge, un titolo espresso.

Nelle operazioni di riqualificazione immobiliare complesse, può accadere che l’organizzazione degli uffici pubblici non sia tale da garantire lo svolgimento delle articolate indagini tecniche necessarie entro i tempi di legge, con l’effetto che l’amministrazione, a fronte di criticità di natura tecnica non ancora debitamente approfondite, può assumere provvedimenti di diniego che, ad un vaglio di legittimità e a fronte di una istruttoria compiuta e di dettaglio, si rivelano poi illegittimi.

L’operatore subisce così rilevanti danni e ritardi e per veder soddisfatta la propria legittima pretesa di merito e risarcitoria, è costretto a intraprendere la via del ricorso giurisdizionale.

Con sentenza 602/2017 depositata lo scorso 2 febbraio 2017, il Consiglio di Stato ha in particolare confermato l’orientamento secondo il quale «la struttura dell’illecito extracontrattuale della pubblica amministrazione non diverga dal modello generale delineato dall’articolo 2043 del Codice civile.».

Dunque, sono elementi costitutivi dell’illecito della Pa, da provare in giudizio:

l’elemento «soggettivo», ossia dolo o colpa,

il «nesso di causalità», inteso quale rapporto che lega l’evento dannoso e il comportamento della Pa;

il danno ingiusto, ossia la lesione patita rispetto a una situazione giuridica protetta dall’ordinamento giuridico.

Quanto alla prova dell’elemento soggettivo, il Consiglio di Stato ha in ogni caso ribadito che, diversamente da quanto normalmente accade in sede civile, ai fini del risarcimento del danno derivante da provvedimento amministrativo illegittimo, il privato «può limitarsi ad invocare l’illegittimità dell’atto quale indice presuntivo della colpa, mentre resta a carico dell’amministrazione l’onere di dimostrare che si è trattato di un errore da ritenersi “scusabile” secondo una valutazione complessiva dell’intera vicenda».

Questa regola giurisprudenziale tiene conto della strutturale «disparità delle armi fra le parti» nel giudizio intentato da un privato nei confronti di una Pa. Al danneggiato non è dunque richiesto un particolare impegno probatorio per dimostrare la colpa dell’amministrazione, potendo limitarsi ad allegare l’illegittimità dell’atto.

Spetta a questo punto all’amministrazione dimostrare, se del caso, di essere incorsa - appunto - in quell’errore scusabile che, secondo giurisprudenza consolidata, si verifica in presenza di;

contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma;

formulazione ambigua delle disposizioni da applicarsi;

oggettiva complessità della situazione di fatto, come potrebbe essere nel caso di progetti particolarmente rilevanti o di valutazioni tecniche molto delicate;

comportamento delle parti del procedimento (si vedano per tutte, le sentenze del Consiglio di Stato, 5846/2012 e 1468/ 2013).

In tale ottica, rilasciare provvedimenti di diniego che non siano fondati su un’istruttoria completa e puntuale si può rivelare particolarmente rischioso per i Comuni, che a distanza di qualche anno potrebbero dover risarcire ingenti somme agli operatori privati.

La giurisprudenza

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