Urbanistica

Regolamento edilizio "unico", l'impatto sui piani di Milano, Roma, Napoli e Torino

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L'articolo 2 dell'Intesa, nel disciplinare le modalità e i termini di attuazione del recepimento dello schema di regolamento e delle definizioni uniformi, prevede la facoltà in capo ai Comuni (in caso di omesso recepimento regionale), di provvedere autonomamente all'adozione dello schema di regolamento edilizio tipo e dei relativi allegati: in tale ipotesi di recepimento cd. "facoltativo", l'Ente locale potrà valutare (caso per caso), anche l'eventuale necessità di modificare le norme tecniche di attuazione del proprio strumento urbanistico, al fine di evitare l'insorgere di problematiche applicative o contrasti tra prescrizioni di pari grado, ovvero inserire nel nuovo regolamento le integrazioni e le tematiche finalizzate a dirimere simili questioni (secondo il § 10 dello schema di regolamento).

Diversamente, in tutti i casi in cui la Regione provvederà nei termini con proprio atto di recepimento, ma l'Ente locale non ottempererà - nei termini imposti dall'atto regionale (e comunque entro ottobre 2017) - all'adeguamento del proprio regolamento edilizio, lo stesso comma 3 dell'articolo 2 dell'Intesa, dispone la diretta applicazione delle definizioni uniformi e dell'elencazione delle norme sovraordinate, con prevalenza sulle disposizioni comunali con esse incompatibili.
Il rischio applicativo maggiore non risiede però nel mancato coordinamento, tra testo regolamentare previgente e nuovo testo integrato ope legis, ma nella nebulosa previsione contenuta nel successivo comma 4 del medesimo articolo 2. La disposizione, infatti, sancisce che il recepimento delle definizioni uniformi non comporta la modifica delle previsioni dimensionali degli strumenti urbanistici vigenti, che continuano a essere regolate dal Piano regolatore comunale vigente, ovvero dallo strumento urbanistico adottato al 20 ottobre 2016 (data di sottoscrizione dell'Intesa).

Si è già accennato come tale previsione di neutralità, rispetto alle prescrizioni dimensionali degli strumenti urbanistici, presuppone - nel merito - che il recepimento delle definizioni uniformi, soprattutto quelle relative a determinati parametri urbanistici ed edilizi, non incida sostanzialmente con le previgenti definizioni locali, su cui detti dimensionamenti sono stati previsti.
Per la verità, la disposizione risulta infelice anche sul piano letterale, in quanto non è chiaro se operi solamente in caso di recepimento formale (sia esso regionale o comunale cd. facoltativo), ovvero anche nei casi di prevalenza ope legis per mancato adeguamento comunale: dubbio che poteva dirimersi semplicemente precisando che la fattispecie operasse "in ogni caso", ovvero individuando nell'entrata in vigore delle definizioni (anziché nel recepimento) la condizione applicativa della norma.

Infelice è anche il generico riferimento alle "previsioni dimensionali" degli strumenti urbanistici, dato che resta il dubbio se la connotazione sia diretta esclusivamente alle previsioni di dimensionamento degli standard, intesi come i «rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi», ovvero a tutte le previsioni dimensionali di Piano, dirette a contenere lo sfruttamento del suolo a scopo edilizio entro limiti tecnicamente accettabili ovvero a conformarlo alle caratteristiche tipologico-architettoniche locali.
Anche assumendo la tesi restrittiva, cioè intendendo la disposizione diretta ad affermare l'irrilevanza delle definizioni uniformi sul dimensionamento degli strumenti urbanistici sotto il profilo degli standard (quindi sul calcolo ragionieristico della capacità insediativa teorica, intesa come la popolazione massima insediabile in una determinata zona omogenea in rapporto alla quantità di servizi disponibile o necessaria) e tralasciando il fatto che le prime sei definizioni hanno rilevanza urbanistica, non possono comunque ritenersi superate le molte incognite applicative.
Incognite derivanti proprio dall'estrema eterogeneità degli strumenti di pianificazione comunale, conseguenza non solo delle norme regionali di settore, ma anche della sostanziale autonomia lasciata ai progettisti in sede di stesura delle norme tecniche di attuazione di PRG.

I casi applicativi: Il Pgt di Milano
Esaminando i Piani regolatori dei principali centri urbani italiani, si evidenziano divergenze sostanziali già nel concetto di «superficie territoriale» (ST), che nell'Allegato A dello schema di regolamento edilizio comprende la superficie fondiaria e «le aree per dotazioni territoriali ivi comprese quelle esistenti», mentre - ad esempio - le norme di attuazione del PGT di Milano escludono dalla ST tutte «le aree pubbliche già destinate all'uso pubblico, quali parchi urbani, cimiteri, attrezzature tecnologiche urbane; le aree destinate alla viabilità esistente; le aree pubbliche oggetto di cessione a qualsiasi titolo in forza di sfruttamento edificatorio già attuato o autorizzato». Sempre con riferimento allo strumento urbanistico di Milano, la superficie lorda complessiva non comprende «gli spazi privati utilizzabili dal pubblico quali passaggi pedonali e gallerie, assoggettati permanentemente al predetto uso mediante specifico atto di asservimento e fisicamente collegati allo spazio pubblico o aperto circostante» (cfr. art. 4 n.t.a. approvate con D.C. 16/2012 e da ultimo modificate in ottemperanza alla sentenza n. 574/2014 TAR Lombardia): ipotesi non contemplata nella definizione nazionale di superficie lorda né di superficie accessoria.

I casi applicativi: il Prg di Torino
Torino invece risulta perfettamente allineata con la nuova definizione statale di superficie territoriale, ma presenta differenze non trascurabili nel calcolo della superficie lorda, includendovi «le logge, i balconi, le terrazze» con pareti estese a più di 2/3 del loro perimetro e gli spazi non abitabili del sottotetto (superiori ai requisiti dimensionali relativi a imposta e inclinazione di falda e aperture ivi indicati), superfici invece generalmente rientranti nella definizione statale di superficie accessoria, esclusa dal computo della superficie lorda.
L'articolo 2 delle norme di attuazione del PRG di Torino (nel testo aggiornato al 31 luglio 2014) esclude dalla superficie lorda anche le superfici dei piani interrati o parzialmente interrati emergenti per una quota non eccedente 1,50 metri rispetto al piano marciapiede, limitatamente per gli usi a cantina e deposito (mentre la definizione statale di superficie accessoria contempla tutte le cantine poste al piano interrato, seminterrato o al primo piano fuori terra e i relativi corridoi di servizio, senza distinzione di quota rispetto al piano di campagna).

I casi applicativi: il Prg di Roma
Ulteriore esempio è il PRG di Roma (approvato con DC n. 18/2008), le cui norme tecniche di attuazione (art. 3) prevedono definizioni di superficie territoriale e fondiaria in linea con le definizioni uniformi dello Stato, ma il parametro della superficie coperta (SC) prevede «la misura della superficie ottenuta attraverso la proiezione verticale su piano orizzontale del massimo perimetro esterno degli edifici, compresi cavedi e chiostrine», senza esclusione degli aggetti e sporti inferiori a 1,50 metri (come invece previsto dalla definizione statale).

I casi applicativi: il Prg di Napoli
Analoga problematica si registra nello strumento urbanistico di Napoli, in cui la SC delimita il profilo esterno dei muri perimetrali, a qualunque piano si trovino, con esclusione delle parti aggettanti aperte (senza limite dimensionale), ovvero per quanto attiene alla valutazione delle tettoie, classificate come superficie non residenziale (accessoria a servizio della residenza) purché rientrino nella misura massima del 30% della superficie scoperta (percentuale che scende al 5% della Su per le pensiline, cfr. art. 7 n.t.a. approvate con dpgr Campania n. 323/2004).

La superficie lorda nel Piano della Capitale
Anche per quanto attiene alla superficie lorda, lo strumento urbanistico della Capitale esclude dal relativo computo i «locali completamente interrati o emergenti non oltre 0,80 metri fuori terra, misurati fino all'intradosso del solaio, se destinati a funzioni accessorie asservite alle unità edilizie o immobiliari (locali tecnici, cantine, depositi, autorimesse, parcheggi)», includendovi - al contrario - tutti gli altri locali emergenti oltre la quota indicata, mentre per quanto attiene ai sottotetti accessibili, risultano esclusi dalla SUL i «locali ricavati tra intradosso del solaio di copertura ed estradosso del solaio dell'ultimo livello di calpestio, per le parti di altezza utile inferiore a 1,80 metri».
Le definizioni statali di SL e SU escludono i sottotetti rientranti nella superficie accessoria, intesi come vani «accessibili e praticabili per la sola porzione con altezza pari o superiore a 1,80 metri, ad esclusione dei sottotetti aventi accesso diretto da una unità immobiliare e che presentino i requisiti richiesti per i locali abitabili che costituiscono superficie utile».
Dalle considerazioni testè evidenziate, che si soffermano sugli elementi di criticità aventi maggior evidenza negli strumenti urbanistici dei principali centri urbani, è facile desumere come l'affermazione di cui all'articolo 2, comma 4, dell'Intesa costituisca un'enunciazione di principio non concretamente praticabile, specie nelle grandi città, in cui anche piccole difformità nella valutazione di un parametro urbanistico-edilizio, possono comportare notevoli effetti sulla trasformabilità del territorio.

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