Urbanistica

Periferie da riqualificare/2. Per passare all’azione urge una politica nazionale (e un ministro che se ne occupi)

di Giorgio Santilli

Da tempo le periferie e la rigenerazione urbana sono uno dei temi prioritari del confronto politico nelle grandi città. L'emergenza nasce dal peggioramento delle condizioni economiche generali, dalla pressione demografica, dalla carenza di risorse e di progetti a livello locale, dal diffondersi della povertà e del degrado fisico di ampie zone urbane. Fenomeni che, sia pure in misure diverse, sono condivisi da molte zone dell'Europa.

Quello che invece è molto italiano e contribuisce non poco ad aggravare la situazione è la mancanza di una politica urbana nazionale su questi temi. Sono 15 anni che lo Stato centrale ha abdicato al compito di sostegno e di aiuto alle politiche locali. Negli anni '90 una generazione di progetti, programmi e piani di riqualificazione in ambito urbano (Pru, Prusst, contratti di quartiere e così via) aprirono una strada di collaborazione diretta governo-città che fu poi bruscamente interrotta, soprattutto dal titolo V riformato e dal federalismo regionalista. Anche su questo fronte la riforma del titolo V contenuta nella legge costituzionale sottoposta al referendum di ottobre costituisce un punto di svolta per tornare a uno Stato complessivamente più efficiente e più capace di affrontare le questioni reali.

Ma non è solo colpa del titolo V. In questi ultimi 15 anni è mancata l'attenzione “politica” dei governi alle città. Qualche tentativo è stato fatto: con il governo Monti si provò a rilanciare il “piano città” ma l'esito fu scadente. Matteo Renzi, da ex sindaco, ha chiaro questo scenario e fin dall'inizio a Palazzo Chigi ha rilanciato temi urbani in chiave nazionale, dall'edilizia scolastica alle “piccole opere” dei sindaci, dal piano per la riqualificazione degli Iacp al piano periferie da 500 milioni. Gli annunci, ovviamente, non bastano né a realizzare progetti né, tantomeno, a impostare politiche urbane nazionali. Però la direzione è quella giusta e quel che bisogna fare, dopo la stagione delle task force a Palazzo Chigi, è strutturare una vera politica urbana nazionale (magari con un ministro che se ne occupi?).

Un bel segnale è il «piano metropolitane» del ministro Delrio (eredità della legge 211) e lo stesso «piano periferie», con la presentazione di progetti comunali da finanziare, è un bel banco di prova. Ma i comuni vanno aiutati a progettare con un fondo di rotazione che consenta di superare il vero punto critico di qualunque intervento pubblico oggi, la qualità della progettazione.


Soprattutto, i comuni - di qualunque colore politico - devono sapere e sentire che il governo c'è a sostenerli, con politiche che hanno leggi, risorse (europee, nazionali, locali e private) e obiettivi chiari. Basta guardare al «modello Marsiglia», una città rinata grazie alla collaborazione fra centro e locale che si è tradotta in una cabina di regia fra comune, governo, grandi spa pubbliche. E ancora corsie preferenziali, procedure veloci, organizzazione di “pacchetti” di risorse senza i quali gli annunci di questi giorni in campagna elettorale sono destinati a restare lettera morta.

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