Urbanistica

Consiglio di Stato: da demolire il fabbricato che presenta varianti «essenziali» rispetto al progetto

di Donato Palombella

Nel caso in cui l'opera presenti delle difformità rispetto al progetto assentito, la demolizione può essere disposta dall'amministrazione solo ove tali difformità siano «essenziali» diversamente sarà applicabile la semplice sanzione pecuniaria. Il Consiglio di Stato chiarisce quando le varianti possono essere considerate «essenziali» e rendono legittima l'ordinanza di demolizione dell'opera abusiva e l'acquisizione al patrimonio comunale non essendo possibile applicare la misura ripristinatoria.

L'ordine di demolizione
Il proprietario del manufatto impugna il provvedimento con cui il comune aveva ordinato la demolizione di un manufatto abusivo, realizzato in area agricola, nonché l'acquisizione al patrimonio comunale della relativa area di sedime. L'amministrazione contestava la trasformazione in abitazione, in assenza di un titolo abilitativo dei lavori, di un manufatto originariamente destinato al ricovero di attrezzi agricoli, realizzato in base ad un permesso di costruire del 2003. In particolare, veniva contestata la realizzazione di un solaio intermedio, non previsto nell'originario progetto approvato, che avrebbe modificato le superfici utili (raddoppiate rispetto al progetto assentito) modificando gli standards urbanistici. Contestata anche la realizzazione della pavimentazione esterna che avrebbe modificato l'indice di permeabilità previsto dallo strumento urbanistico.

Il fondamento dell'ordinanza
L'ordinanza comunale troverebbe il proprio fondamento nell'articolo 31 del dPR 380/2001 nonché, a livello locale, nell'articolo 13 della Legge regionale dell'Emilia Romagna n. 23/2004 (di contenuto sostanzialmente analogo a quello della corrispondente disposizione statale). Secondo tale normativa il Comune, accertata l'esecuzione di interventi abusivi ovvero realizzati in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, ingiunge al proprietario e al responsabile dell'abuso la rimozione o la demolizione, indicando l'area che viene acquisita di diritto al patrimonio comunale.

Le varianti essenziali: due tesi a confronto
Il punto cruciale della vicenda consiste nello stabilire se le varianti contestate debbano essere considerate «essenziali» ai fini della determinazione della illegittimità dell'opera. Secondo il proprietario, si tratterebbe di «varianti leggere» perché non avrebbero coinvolto le cubature realizzate né i profili plano volumetrici del fabbricato. Di conseguenza, sarebbe applicabile una semplice sanzione ripristinatoria. L'amministrazione, viceversa, ritiene l'ordinanza del tutto legittima in quanto le opere avrebbero modificato i parametri urbanistici.

Varianti essenziali e leggere
Occorre tener presente che non tutte le modifiche possono definirsi varianti e che vengono considerate tali solo quelle che comportino una modifica qualitativa o quantitativa di alcuni elementi quali la superficie coperta, il perimetro, la volumetria, le distanze dalle proprietà vicine, nonché le caratteristiche funzionali e strutturali, interne ed esterne, del fabbricato.
Occorre distinguere, poi, tra varianti essenziali e varianti minime.

Costituisce variante essenziale, la modifica incompatibile col progetto originario sia sotto l'aspetto qualitativo che quantitativo. Per stabilire quali siano le «varianti essenziali» abbiamo due punti di riferimento: la normativa statale, che detta le proprie direttive, e le norme regionali, che possono fornire delle indicazioni di dettaglio. Secondo l'art. 32 del d.p.r. n. 380/2001, le varianti essenziali comportano il mutamento della destinazione d'uso con conseguente modifica degli standards, l'aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio, le modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi, il mutamento delle caratteristiche dell'intervento edilizio assentito e la violazione delle norme in materia antisismica.

Le modifiche che incidono sulle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative non rientrano tra le varianti essenziali. La realizzazione di una variante essenziale è subordinata al preventivo rilascio di un nuovo titolo abilitativo dei lavori, assoggettato alle disposizioni vigenti nel momento in cui esso è presentato, trattandosi di realizzare un'opera diversa, nelle sue caratteristiche essenziali, rispetto a quella originariamente assentita.

Le varianti minori o leggere sono disciplinate dall'art. 22, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 che richiede la Scia per le varianti che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del DLgs n. 42/2004, non violano le prescrizioni eventualmente contenute nel permesso di costruire. In tale ipotesi è possibile dare corso alle opere in difformità dal permesso di costruire e poi regolarizzarle con la Scia prima della presentazione della fine dei lavori.

Le varianti contestate
Nel caso in esame, le difformità delle opere realizzate rispetto all'originario titolo edilizio, come correttamente rilevato dal Comune, hanno riguardato sia il mutamento della destinazione d'uso del fabbricato (da agricolo ad abitativo), con conseguente modifica degli standards urbanistici, sia il consistente aumento delle superfici utili, pressoché raddoppiate rispetto a quanto previsto nell'iniziale progetto a causa della realizzazione di un solaio intermedio inizialmente non previsto. Si tratterebbe, pertanto, di "varianti essenziali".

Il parere del Consiglio di Stato
La sesta sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza del 13 maggio 2016 n. 1951, ha confermato il verdetto reso in primo grado dal Tar Bologna con la sentenza n. 430/2015. L'ordinanza di demolizione ed acquisizione al patrimonio comunale sarebbe del tutto legittima in quanto l'opera sarebbe stata realizzata con variazioni essenziali rispetto al titolo edilizio. Viene respinta al richiesta di riduzione in pristino che avrebbe consentito all'interessato di mantenere l'intervento per come originariamente previsto nel progetto in quanto "tutta l'attività edilizia ha assunto fin dall'inizio caratteri di abusività, in quanto è stato realizzato un opus significativamente diverso da quello assentito, sia per consistenza delle superfici utili sia per destinazione." L'ordine demolitorio rientrerebbe all'interno delle attività vincolate per cui l'amministrazione non avrebbe avuto altra scelta se non ordinare la demolizione del manufatto.

Vietata anche la pavimentazione esterna
Anche la pavimentazione esterna sarebbe stata realizzata abusivamente in quanto sarebbe stato superato l'indice di permeabilità previsto dallo strumento urbanistico comunale. Viene respinta, quindi, la tesi del proprietario che riteneva si trattasse di "edilizia libera".

Le sanzioni
La sanzione pecuniaria è prevista unicamente per l'ipotesi di opere di ristrutturazione eseguite in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire ovvero di opere di nuova costruzione eseguite in parziale difformità dal permesso di costruire ovvero di opere minori eseguite in assenza o in difformità dalla Scia. Secondo l'articolo 31, secondo comma, del Dpr 380/2001 l'amministrazione, «accertata l'esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell'articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell'abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l´area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3». In tale contesto non c'è spazio per apprezzamenti discrezionali sulla sanzione da irrogare, atteso che l'esercizio del potere repressivo dell'abuso edilizio costituisce atto dovuto.

La sentenza del Consiglio di Stato

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