Urbanistica

Perequazione urbanistica: la Corte Costituzionale chiarisce le idee sulle competenze Stato-Regioni

di Esper Tedeschi

Con la sentenza 5 aprile 2016, n. 67 la Corte costituzionale si è pronunciata su una delle norme incriminate di illegittimità costituzionale dalla Regione Puglia, nell'ambito di un complesso ricorso volto a inficiare, sotto vari profili, il Dl 133/2014.
Oggetto della pronuncia è una norma che si inserisce in un contesto complesso di «Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione di opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive» (decreto Sblocca Italia).
Essa fa parte di un articolo (articolo 17) che enuncia, in premessa, l'esplicita finalità «di semplificare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonché di assicurare processi di sviluppo sostenibile, con particolare riguardo al recupero del patrimonio edilizio esistente e alla riduzione del consumo di suolo» e (nella parte che qui interessa) aggiunge, al Testo unico dell'edilizia (Dpr 380/2001 e succ.m. e i.), l'articolo 3-bis (rubricato «Interventi di conservazione»).
Con la novella normativa, in tema di conservazione degli edifici esistenti nel territorio comunale, il legislatore statale non si è, però, limitato ad assegnare allo strumento urbanistico l'individuazione delle situazioni di incompatibilità con gli indirizzi della pianificazione e a incoraggiare, in linea di principio, l'adozione di misure di «perequazione urbanistica» in alternativa all'espropriazione (purché «rispondenti al pubblico interesse e comunque rispettose dell'imparzialità e del buon andamento dell'azione amministrativa»), ma ha anche, introdotto, innovativamente, una norma transitoria volta, in via preventiva, a evitare la compressione, a tempo indeterminato, della facoltà dei proprietari di provvedere essi stessi a porre in essere interventi di risanamento del loro patrimonio immobiliare, nelle more di attuazione del Piano, con le eccezioni fissate dallo stesso legislatore.
Ed è, appunto, su tale facoltà, che si sono incentrate le censure della Regione.
Ciò premesso, all'interno delle argomentazioni con le quali la Corte ha negato l'addebito di incostituzionalità, alla stregua dei parametri indicati dalla ricorrente, appare particolarmente significativa la proposizione che configura in termini di «principio», la salvaguardia delle facoltà dei proprietari di eseguire interventi conservativi nelle more di attuazione del Piano da parte dell'ente locale.
E, invero, la Corte ha ritenuto che, dalla potestà statale di dettare norme di principio in tema di «perequazione urbanistica» non possa andare disgiunta la potestà, anch'essa statale, di dettare norme di principio volte a prevenire ed evitare – a carico della proprietà - effetti distorsivi delle attribuzioni costituzionalmente garantite alle Regioni e agli Enti locali, derivanti dall'inerzia di questi ultimi, nella attuazione di scelte programmate.
Sembra, che – sia pure nella sinteticità della motivazione – la Corte abbia inteso evocare (all'interno di una decisione che investe, propriamente la misura dei concorrenti poteri legislativi statali in tema di governo del territorio) la compresente potestà statale, in tema di tutela della proprietà privata e dei diritti e delle facoltà dei proprietari, con riferimento implicito ai limiti che si frappongono - a livello costituzionale interno, europeo e internazionale - alla «comprimibilità» di tali diritti, anche in funzione di interessi pubblici superiori, alla stregua, fra l'altro, delle indicazioni che provengono dalla Corte di Strasburgo sulla materia.
In questa ottica, la salvaguardia (del tutto transitoria) «di eseguire tutti gli interventi conservativi, a eccezione della demolizione e successiva ricostruzione non giustificata da obiettive e improrogabili ragioni di ordine statico od igienico sanitario», non fa che conferire portata sostanziale al principio, insito nell'ordinamento, secondo cui «La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti», correlato ai poteri settoriali oggetto della legislazione concorrente.

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