Urbanistica

Cassazione: giusto non autorizzare l'ascensore esterno se toglie la visuale

di Massimo Frontera

Una controversia nata in un condominio di Pieve di Cadore ha portato la corte di Cassazione - con la sentenza n.4726 depositata il 10 marzo 2016 - a mettere un chiaro spartiacque tra il diritto del singolo condòmino e le delibere prese dall'assemblea. Il questo caso la decisione presa dal condomìnio, contestata dal singolo condòmino, è stata quella di installare un ascensore esterno al palazzo.
La concessione edilizia è stata rilasciata dal Comune prima che l'assemblea si fosse pronunciata sulla decisione di realizzare la "gabbia" destinata a ospitare l'impianto; ed è stata realizzata senza che fossero stati avvisati i singoli condòmini. Da qui è nata la controversia, che è salita di grado fino ad arrivare alla Cassazione.

Nell'articolata disamina. i giudici della Cassazione, alla fine, arrivano al punto dirimente, che è appunto il limite tra il diritto del singolo e il diritto della maggioranza dei condòmini. Sotto il profilo del diritto, il giudice di primo appello, confermato dai giudici della Cassazione hanno inquadrato l'iniziativa presa dall'assemblea di condomìnio non nell'ambito dell'articolo 1120 ("Innovazioni", delle cose comuni), bensì nell'ambito dell'articolo 1102 ("Uso della cosa comune"). In quest'ultimo articolo, si legge che «ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso».

Ed è proprio in base a questi principi che la Corte ha dato ragione al singolo condòmino. «Si è ritenuto - si legge nella sentenza - che fosse stato travalicato il limite entro il quale unicamente partecipante alla comunione può, ai sensi dell'articolo 1102 c.c., servirsi della cosa comune (cfr. Cass. 4.3.2015, n.4372, secondo cui l'uso della cosa comune, in quanto sottoposto all'art. 1102 c.c. ai limiti consentiti nel divieto di ciascun partecipante di alterare la destinazione della stessa e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, non può estendersi all'occupazione di una parte del bene tale da portare, nel concorso degli altri requisiti di legge, all'usucapione della porzione attratta nella propria esclusiva disponibilità)».

La sentenza della Corte di Cassazione n.4726 depositata il 10 marzo 2016

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