Urbanistica

Abusi sanabili/3. Solo sanazione pecuniaria, e niente demolizione, quando le ruspe sono tecnicamente impossibili

di Fabrizio Luches

Il Testo unico in materia edilizia (al pari della legge 47/1985) contiene tre ordini di sanzioni per combattere l'abusivismo edilizio (penali, amministrative e civilistiche) che operano gradualmente, in modo più rigoroso per gli abusi edilizi più gravi e in maniera progressivamente meno rigorosa per quelli meno gravi.
Le fattispecie più gravi, date dall'assenza di titolo ovvero dalla totale difformità o con variazioni essenziali dell'intervento al titolo rilasciato, sono colpite con tutti e tre gli ordini di sanzioni; quelle meno gravi sono, invece, sanzionate esclusivamente in forma pecuniaria come gli interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla Scia (attraverso il pagamento di una somma pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi e comunque in misura non inferiore a 516 euro; ex art. 37) o in assenza Cil, sia essa ordinaria o asseverata (con sanzione di 1.000 euro ex art. 6, comma 7).

Non mancano però fattispecie intermedie, per cui l'ordinamento prevede la sanzione demolitoria-ripristinatoria, ma ammette l'applicazione di una sanzione alternativa pecuniaria, unicamente quando la demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte di costruzione eseguita in conformità al titolo. Tali ipotesi di «fiscalizzazione dell'illecito edilizio», sono disciplinate dagli articoli 33 e 34 Tue.
Nel silenzio della legge sorgono, per tali casi, problematiche applicative in ordine alla valenza del pagamento della sanzione pecuniaria alternativa e alla trasferibilità del bene, posto che l'art. 46 Tue dispone - a detti fini - l'allegazione della prova dell'integrale pagamento della sanzione, nel caso in cui sia prevista l'irrogazione di una sanzione «soltanto» pecuniaria (e non il rilascio del permesso in sanatoria), però solamente nei casi di annullamento del permesso di costruire ex art. 38 Tue (e non anche nei casi di applicazione di sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione).

GLI EFFETTI DELLA SANZIONE ALTERNATIVA
Ancor prima del Testo unico, il Consiglio di Stato affermava che l'applicazione - in caso di costruzione abusiva -, della sanzione pecuniaria ha il limitato effetto di consentire la conservazione della parte già fabbricata dell'edificio che resta contrassegnata dal carattere della illegittimità. In nessun caso la sanzione può pertanto produrre la sanatoria dell'intero progetto e costituire titolo a procedere all'ulteriore edificazione, cosa che quindi darà luogo a un ulteriore comportamento antigiuridico e a un secondo intervento sanzionatorio ragguagliato al valore commerciale dell'opera (cfr. sez. V, 04/05/1979, n. 216).
Più recentemente la giurisprudenza, intervenuta in materia di sanzione alternativa prevista dagli articoli 33 e 34, ha ribadito che la cosiddetta procedura di fiscalizzazione dell'illecito edilizio trova applicazione, in via esclusiva, per gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire (o per le ristrutturazioni anche in assenza o totale difformità dal titolo), e non equivale a una «sanatoria» dell'abuso edilizio, in quanto non integra una regolarizzazione dell'illecito e non autorizza il completamento delle opere realizzate (cfr. da ultima Cassazione penale, sez. III, 22/04/2010, n. 19538 e in senso conforme sez. III, 24661/2009; 17078/2006; 13978/2004 e 11111/1988).

…E I LIMITI DI APPLICAZIONE
Preliminarmente va precisato che la facoltà di irrogare una sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, scatta soltanto nel caso in cui sia «oggettivamente impossibile» procedere alla demolizione. Ne consegue che deve risultare in maniera inequivoca che la demolizione, per le sue conseguenze materiali, inciderebbe sulla stabilità dell'edificio nel suo complesso (v. sul punto Consiglio di Stato, sez. VI, 11/09/2013, n. 4493 e 09/04/2013, n. 1912).
Quindi, a fronte di un ordine di demolire il privato interveniente - entro il termine concesso ai sensi degli artt. 33 e 34 Tue -, ben può rappresentare motivatamente al Comune procedente l'impossibilità tecnica a eseguire l'ordine di demolizione. In tal caso, sarà cura del Comune emanare la sanzione pecuniaria prevista, con tacita revoca dell'ordine demolitorio (da ultimi v. Tar Lazio, Roma, sez. I, 10/01/2014, n. 316; Tar Campania, Napoli, sez. II, 22/11/2013, n. 5317; Tar Veneto, Venezia, sez. II, 13/11/2013, n. 1268).
Diversamente, nelle aree vincolate dal Codice Urbani, l'ordinanza di rimessione in pristino emessa ai sensi dell'art. 167, Dlgs 42/2004, non richiede alcun accertamento circa la possibilità di ripristino dello stato dei luoghi senza pregiudizio per la parte regolarmente assentita e ciò, in ragione della assoluta rilevanza e prevalenza dell'interesse paesaggistico ex art. 9, comma 2, Cost. (v. T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 28/07/2014, n. 1239). Inoltre, in presenza di interventi edilizi in zona paesaggisticamente vincolata, ai fini dell'individuazione della sanzione penale applicabile, è indifferente la distinzione tra interventi eseguiti in difformità totale o parziale ovvero in variazione essenziale, in quanto l'art. 32, comma 3, Tue dispone che tutti gli interventi realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico eseguiti in difformità dal titolo abilitativo (inclusi quelli in parziale difformità), si considerano come variazioni essenziali e, quindi, quali difformità totali: con conseguente inapplicabilità della previsione di cui all'art. 34, comma 2-ter (introdotto dalla legge 106/2011), relativa alla misura di tolleranza in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali (cfr. Cassazione penale, sez. III, 06/05/2014, n. 37169 e 03/12/2013, n. 1486).
Per quanto attiene specificamente l'art. 33 Tue, la disposizione risulta oggettivamente circoscritta e conseguentemente non è invocabile nei casi in cui non si faccia questione di interventi di ristrutturazione edilizia (Tar Campania, Napoli, sez. VI, n. 10492 del 2005 e Consiglio di Stato, sez. VI, 24/09/2010, n. 7129). Sul punto è bene precisare che, sebbene l'art. 10, comma 1, lett. c), Tue preveda la possibilità di ristrutturazioni che comportino modifiche di volume, sagoma, prospetti o superfici (c.d. ristrutturazione pesante), ciò non significa che qualsiasi ampliamento (abusivo) di edifici preesistenti debba essere automaticamente ascritto alla fattispecie della ristrutturazione.
Al contrario, un intervento abusivo che sia tale, per dimensioni e consistenza, da snaturare le caratteristiche dell'edificio originario è legittimamente sanzionato a termini dell'art. 31 (e non dell'art. 33), comportando la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza e autonomamente utilizzabile (cfr. Tar Lombardia, Milano, sez. II, 18/06/2010, n. 2107).
Parimenti, con riferimento all'art. 34 Tue, è stato chiarito che detta norma riguarda le sole ipotesi di difformità parziale e non il diverso caso in cui sia stato realizzato un organismo edilizio del tutto nuovo, che integra una nuova costruzione ai sensi dell'art. 3, lettera e), Tue (v. Consiglio di Stato, sez. VI, 27/03/2012, n. 1810).

LA COMMERCIABILITÀ DEI BENI
La principale questione civilistica è quella relativa all'assolvimento degli obblighi previsti dall'art. 46 Tue, al fine di non incorrere nella sanzione di nullità degli atti, data l'impossibilità - nei casi in questione - di poter effettuare, da parte dell'alienante dell'immobile oggetto di abuso minore, la dichiarazione degli estremi del permesso in sanatoria nell'atto di trasferimento del diritto reale.
La questione sotto il profilo dottrinale sembra risolta, ritenendo l'atto traslativo comunque valido (salvo i casi di impossibilità di qualificare gli abusi ex art. 34 Tue sopra trattati e restando comunque applicabili le norme in tema di responsabilità del venditore).
In tali termini si è espresso più volte il Consiglio nazionale del notariato (circolare 2 ottobre 1994, prot. 3138 e Studio 508/1993) secondo cui gli abusi di minore gravità possono determinare sanzioni di altro genere, ma continuano a non incidere assolutamente sull'attività negoziale (anche se su di essa va puntualmente richiamata l'attenzione delle parti); di pari opinione anche l'allora ministero dei Lavori pubblici, secondo cui «l'eventuale nullità degli atti di trasferimento è circoscritta soltanto agli immobili eseguiti in assenza di concessione o in totale difformità da essa (nei casi in cui si abbiano condizioni di equiparazione alle prime), mentre non sono oggetto di alcun limite alla commercialità gli abusi di minore gravità che restano assoggettati alle sanzioni di tipo amministrativo o penale» (cfr. circolare 2241/UL del 17/06/1995 in G.U. n. 192).
Rimane controversa invece la vicenda degli atti a efficacia obbligatoria: vi sono pronunce secondo cui, in assenza della dichiarazione, nel contratto preliminare o in un atto, successivamente prodotto in giudizio, degli estremi della concessione edilizia e/o della concessione in sanatoria dell'abuso edilizio, il giudice non possa pronunciare la sentenza di trasferimento coattivo prevista dall'art. 2932 c.c., dato che la disposizione di cui all'art. 46 Tue indirettamente influisce anche sui presupposti necessari per la pronuncia della sentenza di esecuzione in forma specifica del preliminare di una vendita immobiliare.
Da ciò conseguirebbe - al momento della sottoscrizione del preliminare - l'incommerciabilità del bene, con conseguente legittimità del recesso esercitato dell'attore e diritto dello stesso di esigere il doppio della caparra versata, oltre interessi legali dal versamento sino all'effettivo pagamento (v. Tribunale Bari, sez. III, 09/05/2013 e Cassazione civile, sez. II, 02/09/2011, n. 18039).
Altre pronunce, invece, affermano che la disposizione sia applicabile esclusivamente ai trasferimenti aventi effetto reale, e non estesa ai contratti a efficacia meramente obbligatoria (come appunto il preliminare di vendita), i quali restano disciplinati dall'art. 15 legge 10/1977, secondo cui la nullità di tali contratti, se relativi a immobili privi di concessione, non può essere fatta valere in giudizio alla duplice condizione che l'acquirente sia a conoscenza dell'abuso e che tale conoscenza risulti formalmente dall'atto della cui nullità si discute (da ultima Cassazione civile, sez. II, 30/01/2013, n. 2204).

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