Urbanistica

Consiglio di Stato: sì a correttivi sulle richieste di permessi edilizi, ma senza stravolgere i progetti

di Guglielmo Saporito

Primi orientamenti dei giudici utili ai cittadini che intendano operare con la Scia (segnalazione inizio attività), innovata dalla recente legge 124/2015. Il Consiglio di Stato (sentenza 8 settembre 2015 n. 4176) conferma che i provvedimenti richiesti in materia edilizia possono contenere prescrizioni, correttivi e integrazioni minime o di esigua entità rispetto alla domanda del cittadino, mentre non si possono imporre stravolgimenti progettuali che incidano anche sui vicini.

Questo principio si collega alla modifica del 2015, la quale riguarda il termine massimo per annullare una Scia (18 mesi): ora il giudice aggiunge anche indicazioni sul tipo di risposta che, dinanzi a una richiesta di autorizzazione, permesso, licenza, o concessione, la pubblica amministrazione è tenuta a fornire. Entro 60 giorni (30 in edilizia) il Comune può infatti chiedere chiarimenti, e quindi non vi è più il solo binomio assenso-diniego, bensì vi è l’alternativa tra assenso e “dissenso costruttivo”. In altri termini, l’amministrazione è tenuta a suggerire, indicare, specificare cos’è che non va e come potervi rimediare. In questo modo, gran parte dei problemi si possono risolvere, perchè il cittadino-utente non vuole solamente una risposta in 30 o 60 giorni, ma vuol sapere (anche in tempi brevi) cos’è che non va nella sua idea progettuale o imprenditoriale. Ottenere dalla Pa una risposta esauriente applica, del resto, il “dovere di soccorso” già presente per i documenti da fornire nelle gare di appalto (Consiglio di Stato, Adunaza plenaria n. 9/2014), in alcuni aspetti dei Durc (invito a “regolarizzare” la posizione, articolo 31 Dl 69/2013, su cui Tar Lazio 15 settembre 2015 n. 11250) o in materia di giustificazione delle anomalie di gara (Tar Lazio 4274/2015).

Fino a oggi era il privato a doversi giustificare, se voleva che l’amministrazione condividesse le offerte (in gara) o le proposte dei privati (nell’edilizia, nel commercio). Ora un principio di parità estende l’ “onere di parlar chiaro” anche alle Pa, che devono far precedere al rigetto l’indicazione di quelle modifiche che potrebbero far ritenere ammissibile l’istanza del privato.

Questa maggiore articolazione del procedimento può rivelarsi anche rischiosa per l’amministrazione, in quanto, una volta ottenute dal privato le modifiche proposte, non è possibile che la Pa torni sui propri passi e rimetta in discussione temi non affrontati. Si tratta del principio “one shot” (Consiglio Stato 439/2015), secondo il quale non si possono riesaminare profili in precedenza non segnalati. Infine, anche in materia ambientale (articolo 146 Tu 42/2004) è possibile un dissenso costruttivo (Consiglio Stato 1418/2014) cioè la Pa può (e deve) specificare quali accorgimenti tecnici o progettuali potrebbero sbloccare una procedura di autorizzazione paesaggistica. Ciò fermo restando che l’amministrazione può chiedere anche un parere a soggetti estranei al procedimento, come è ad esempio avvenuto per una costruzione vicina ad un aeroporto militare (Tar Lecce 14 settembre 2015 n. 2722), intervento sul quale è stato ritenuto utile, anche se non previsto, il parere dell’autorità militare.

Del resto, anche per i settori più sensibili, quale quello paesaggistico, vi sono da tempo (Tar Brescia 317/2008) segnali favorevoli alla previsione di “misure compensative” che possano comunque riequilibrare il rapporto pubblico-privato.

La sentenza n.4176/2015 del Consiglio di Stato

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