Urbanistica

«Degrado, la Chiesa in campo anche per un piano di riqualificazione delle città»

di Giorgio Santilli

È il momento per la Chiesa italiana di fare nuove alleanze e scendere in campo nella partita decisiva del recupero delle nostre città e in particolare dei molti quartieri degradati e invisibili che caratterizzano le nostre città fuori dei centri storici. Dobbiamo farlo con progetti concreti e condivisi. Condivisi con la politica, con le associazioni ambientaliste, con il sistema economico e le imprese, con i cittadini, richiamando noi stessi e ognuno di questi soggetti alle proprie responsabilità specifiche in nome di una etica e di un obiettivo comuni che partano dai principi inderogabili di giustizia sociale e di qualità della relazione fra persona e luogo».

Monsignor Giuseppe Russo, responsabile del Servizio edilizia di culto della Cei, uno dei protagonisti assoluti della committenza di qualità in Italia, insignito del titolo di “architetto onorario” dal Consiglio nazionale degli architetti, alza lo sguardo oltre la progettazione di nuove chiese e anche oltre quel percorso di partecipazione che ha rappresentato un modello di buona pratica in Italia: ora porta l’attenzione della Chiesa sulla città costruita e degradata, sotto la spinta - che in realtà è arrivata a percorso iniziato - dell’enciclica «Laudato sì» di Papa Francesco che dedica molte parole agli spazi pubblici e a «coloro che progettano edifici, quartieri, spazi pubblici e città» e «hanno bisogno del contributo di diverse discipline».

Il momento clou di questa proposta «interdisciplinare» è stato un seminario con una trentina di soggetti, «una sorta di conferenza di servizi con i rappresentanti di massimo livello di associazioni, istituti di ricerca, ordini professionali, costruttori, imprese, addirittura una banca che per altro ha dato ampia disponibilità a finanziare alcune iniziative».

Il percorso - che sempre più si apre anche ai «non fedeli» - dovrebbe concludersi con un manifesto «sulla cura della casa comune, progettare città per le persone». Più che un manifesto, però, è una «piattaforma» che aiuti a raccogliere consenso intorno a progetti concreti. «Noi - dice Russo - non siamo architetti o imprenditori, noi siamo la Chiesa e più che il prodotto a noi interessano le persone che devono viverci, nel rispetto della natura e dell’ambiente ma anche della qualità di relazioni fra le persone».

Una virata dal micro al macro, dall’interno della chiesa verso la comunità più larga, quella di don Giuseppe, che parte anche dai successi clamorosi che le sue precedenti iniziative avevano registrato proprio tra gli operatori dell’edilizia e tra i cittadini coinvolti. Dopo l’apertura, all’inizio del decennio, all’architettura contemporanea con i concorsi dei «Progetti pilota» per gli edifici di culto e dopo la sperimentazione partita nel 2013 della «committenza responsabile e partecipata» con i «Percorsi diocesani» a sostegno delle parrocchie per i progetti di nuove chiese, monsignor Russo, che ha cominciato come giovane diacono a Tor Bella Monaca a Roma e poi come giovane prete al quartiere Tamburi di Taranto, ora mira a mettere in campo alcuni progetti concreti di rigenerazione urbana in alcune zone urbane degradate. Li sta valutando e probabilmente la scelta non sarà sua (il suo mandato scade fra qualche settimana) ma cadrà comunque quasi certamente su quartieri di edilizia popolare. «Mi hanno sempre colpito - dice - certe realizzazioni di edilizia popolare che sembrano voler negare alla radice l’idea stessa che gli edifici vadano costruiti per le persone. Capisco che quelle esperienze nascono con certi presupposti e certi limiti, economici per esempio. Ma nel costruire e nel riqualificare la città e gli edifici dobbiamo tornare all’obiettivo di una vita di qualità per le persone. Dobbiamo ristabilire un rapporto sano e di qualità fra persone e luoghi»

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