Urbanistica

Immobiliaristi/2. Per Danilo Coppola confermata la condanna a 7 anni

Il reato contestato è bancarotta fraudolenta di tre società

di Flavia Carletti

A quasi due anni dalla sentenza di primo grado, per Danilo Coppola è arrivata la conferma della condanna a sette anni di reclusione per l'accusa di bancarotta fraudolenta di tre società. La seconda sezione penale della Corte d'appello di Milano, collegio presieduto da Piero Gamacchio, dopo 5 ore di camera di consiglio ha respinto il ricorso - per chiedere l'assoluzione - dell'immobiliarista, salito all'onore delle cronache nella stagione delle tentate scalate bancarie del 2005 dei "furbetti del quartierino". I giudici non hanno accolto neanche la richiesta del sostituto pg Celestina Gravina che aveva chiesto di assolvere Coppola dall'accusa di aver cagionato "con dolo" il dissesto delle società a lui riconducibili, ipotizzando la bancarotta impropria, e quindi di ridurre la condanna a 5 anni e 10 mesi. Ieri pomeriggio, la Corte d'appello ha confermato completamente la sentenza di primo grado del 24 febbraio 2018 che, oltre alle pene accessorie di rito, ha disposto risarcimenti per danni patrimoniali e non patrimoniali alle società, ora parti civili, di cui Coppola avrebbe cagionato il fallimento: oltre 153 milioni a Porta Vittoria spa (poi rilevata da Prelios sgr che per l'operazione ha avviato il fondo Niche), a garanzia dei quali è stato mantenuto il sequestro di immobili già "congelati" e una provvisionale di 50 milioni al Gruppo Immobiliare 2004. Inoltre, la sentenza di primo grado prevedeva anche la confisca dei titoli delle società lussemburghesi Tikal Prima ed Estrella 27, sempre riconducibili a Coppola. Le motivazioni saranno depositate entro 90 giorni. Il processo riguarda il fallimento di tre società: Gruppo Immobiliare 2004 (fallita nel 2013 per un "buco" di circa mezzo miliardo di euro), Mib Prima (nel 2015) e Porta Vittoria spa (nel 2016), quest'ultima nata per occuparsi dello sviluppo immobiliare della zona a est del centro di Milano. L'avvocato Luca Ricci, difensore dell'imputato, ha sempre sostenuto che l'intero patrimonio del suo assistito era stato messo a disposizione del Fisco e per il rientro dei debiti con Banco Popolare.

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