Urbanistica

Bonus facciate/2. Per le aree A e B è inevitabile un passaggio dall'ufficio tecnico

Il focus sulle aree interessate dall'operazione

di Raffaele Lungarella

Il passaggio dalle intenzioni iniziali del Governo, contenute nel disegno di legge, al testo della legge di bilancio ha un po’ complicato le possibilità di beneficiare del generoso bonus fiscale per il rifacimento delle facciate degli immobili. Delle conseguenze potranno risentirne sia chi vuole beneficiare dell’agevolazione sia i Comuni. Il Parlamento ha, infatti, ristretto i confini di applicazione dell’agevolazione del 90% agli edifici esistenti ubicati in zona A e B ai sensi del decreto del ministro dei Lavori pubblici 1444 del 2 aprile 1968.

Questo decreto - che contiene delle regole sui limiti relativi a densità edilizia, altezza, distanza fra i fabbricati e ai rapporti tra gli spazi destinati agli insediamenti edilizi - suddivide territorio dei singoli Comuni in sei zone territoriali omogenee. Nella zona A rientrano quelle parti del territorio interessate «da agglomerati urbani che rivestano carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi» e nella zona B quelle «totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A», dove per queste ultime si intendono quelle zone con una superficie edificata pari ad almeno un ottavo e con una densità territoriale di 1,5 mc/mq.

Per semplificare si può dire che le zone A identificano i centri delle città e le zone B le loro periferie, con la conseguenza che non sono agevolati i rifacimenti delle facciate nelle aree di nuova urbanizzazione e nelle aree agricole. Questa delimitazione territoriale attribuisce al bonus facciate principalmente l’impronta di un intervento finalizzato al ripristino del decoro urbano.

Il decreto ministeriale che definì le zone, però, fu emanato prima dell’istituzione delle regioni e della successiva acquisizione da parte loro di margini di autonomia in materia di regolamentazione urbanistica ed edilizia, e della possibilità di intervenire anche sui diversi aspetti disciplinati dal 1444/68. In ogni caso, che questo sia avvenuto o no, sono le amministrazioni comunali ad essere per forza coinvolte. L’agenzia delle Entrate dovrà forse dire se, come e chi dovrà attestare l’ubicazione dell’edificio nella zona A o B.

Qualunque possa essere la decisione dell’amministrazione fiscale è probabile, se non inevitabile, un passaggio all’ufficio tecnico del Comune dove è localizzato l’immobile. In effetti, anche nell’ipotesi in cui l’Agenzia ritenesse sufficiente l’autocertificazione circa la zona di ubicazione dell’edificio, è poco probabile, per esempio, che un amministratore di condominio, si azzardi a sottoscriverla prima di essersi procurarsi un “pezzo di carta” rilasciato dal Comune (anche un semplice mappale).

Non è scontato però che tutte le amministrazioni abbiano ritenuto necessario classificare per zone i propri territori, né che vogliano quindi rilasciare una specifica attestazione.

Tutto ciò potrebbe costituire un forte ostacolo - forse non considerato dal legislatore - all’utilizzo del bonus del 90 per cento. Almeno finché, ove questo non è stato ancora fatto, il Comune non disegni le diverse zone, magari limitandosi a individuare quelle per nuovi insediamenti, classificando, per differenza, il restante territorio come zone A e B.

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