Urbanistica

Costruzioni, i bonus fiscali sull'edilizia «guidano» la politica industriale

di Massimo Frontera

La politica industriale più efficace per l'edilizia? È stata quella prodotta dai vari sgravi fiscali degli ultimi 20 anni, a partire dal primo - storico - bonus del 36% sulle ristrutturazioni. A suggerire una lettura in chiave di politica industriale dei bonus sono i numeri dell'annuale studio realizzato dalla Camera dei Deputati insieme al Cresme sulla stima dell'impatto delle misure di incentivazione edilizia sul recupero e la riqualificazione energetica del patrimonio italiano, presentato l'11 dicembre scorso. Dal 1998 ad oggi i numeri e le tabelle del Cresme fanno emergere una progressiva e irresistibile crescita di tutti gli indicatori: numero di interventi, volume degli investimenti, numero di occupati, miglioramento della performance energetica degli immobili. In crescita anche il saldo tra le entrate e le uscite per lo Stato, a patto però di contabilizzare non solo la differenza aritmetica delle entrate fiscali, ma anche altri effetti positivi indiretti, come la spinta ai consumi dei nuovi occupati, il gettito catastale aggiuntivo o la riduzione della bolletta energetica per lo Stato.

Una politica industriale per l'intervento sull'ambiente costruito
Sulla distanza di 20 anni - e considerando tutta la famiglia di bonus con relative proroghe e rimodulazioni di aliquote e limiti di spesa - la leva degli sgravi sull'edilizia ha complessivamente stimolato in modo anticiclico l'attività dei cantieri negli anni di minore o scarso volume di nuove costruzioni. Ma soprattutto ha indirizzato la spesa delle famiglie italiane verso il progressivo rinnovo del patrimonio e l'efficientamentro energetico di uno stock per la maggior parte di scarsa qualità e realizzato prima delle norme antisimiche. Dalle iniziali micro-ristrutturazioni edilizie della "signora Maria" si è passati all'efficientamento energetico delle villette e poi dei condomini. Poi sono arrivati il bonus mobili, il bonus verde, il sismabonus, fino all'ultimo nato: il bonus facciate, come delineato (in modo tormentato e ancora non definitivo) dalla manovra di Bilancio 2020. Le famiglie italiane hanno puntualmente risposto alle opportunità offerte dal legislatore, come nel 2013, per esempio, quando - ricorda il Cresme - gli investimenti nelle riqualificazioni hanno segnato una «ripresa certo dovuta al potenziamento dell'incentivo fiscale registrato in quell'anno». Ancora: «L'analisi degli investimenti attivati - si legge nel rapporto - evidenzia il fatto che l'incremento delle aliquote ha svolto un'azione particolarmente importante sul mercato negli anni della crisi, dato che, a partire dal 2013, con la parziale eccezione del 2015, l'ammontare dei lavori incentivati si è stabilizzato sino al 2017 su valori annui di circa 28 miliardi di euro, per poi avvicinarsi ai 29 nel 2018 e nel 2019. È inoltre evidente come il potenziamento delle aliquote abbia favorito un'accelerazione delle domande di incentivo».

L'effetto ancora nascosto del sisma bonus
Come è noto, la convenienza immediata del risparmio in bolletta ha fatto decollare l'eco-bonus, mentre l'effetto del sisma-bonus non è ancora apprezzabile. La possibilità di detrarre, a certe condizioni, fino all'85% del costo dell'intervento per il consolidamento strutturale degli edifici ha certamente stimolato la domanda, che se lo stesso Cresme ammette di non essere ancora in grado di misurarne l'effetto. «Una nuova importante fase di investimento potrebbe essere in corso - si legge infatti nel rapporto - una fase sulla quale per ora non è ancora possibile disporre di dati, che riguarda le nuove agevolazioni per la riduzione del rischio sismico introdotte nel 2017 e nel 2018». In altro punto il Cresme segnala «la crescita registrata nel 2018 e nel 2019, che fa pensare ad una seconda fase dell'attività, probabilmente a ragione del manifestarsi di una quota ancora contenuta ma in essere di interventi per la riduzione del rischio sismico».

I numeri del biennio 2018-2019
Relativamente all'ultimo biennio di vita degli sgravi, il Cresme indica un volume di investimenti di quasi 28,5 miliardi di euro nel 2019 (esattamente 28.487 milioni di euro) «riconducibili a 3.331 milioni di euro per la riqualificazione energetica e a 25.156 milioni di euro per il recupero edilizio». Quanto al 2019, lo studio di ricerca romano, estrapolando i dati dei primi otto mesi, stima «un volume di spesa complessivo superiore ai livelli del 2018, con 28.963 milioni di euro, imputabili per 3.250 milioni di euro alla riqualificazione energetica (in lieve calo rispetto al 2018) e per 25.713 milioni al recupero edilizio». «I dati del 2018 e del 2019 confermano, dunque, che le misure di incentivazione hanno attivato importanti volumi di investimenti a partire dal 2013, in corrispondenza della maggiorazione delle aliquote, e si può pensare che gli incrementi registrati nel 2018 e nel 2019 siano da attribuire anche all'inizio degli effetti prodotti dai nuovi incentivi».

Tra il 1998 e il 2019 interventi sul 62,5% del patrimonio italiano
Complessivamente, gli incentivi fiscali per il recupero edilizio e per la riqualificazione energetica hanno interessato dal 1998 al 2019, 19,5 milioni di interventi, «ossia - considerando che le abitazioni sono il principale oggetto degli interventi di rinnovo - oltre il 62,5% delle abitazioni italiane stimate dall'Istat (31,2 milioni)». Inoltre, «in 20 anni le misure di incentivazione fiscale hanno attivato investimenti pari a quasi 322 miliardi di euro».

L'effetto sull'occupazione: in 9 anni 2,3 milioni di occupati
Gli investimenti dovuti agli sgravi, scrive il Cresme, «continuano ad avere un rilevante impatto sull'occupazione: nel 2019 le stime riguardano 432.358 occupati, dei quali 288.239 diretti. I 231,3 miliardi di euro attivati dagli incentivi nel periodo 2011-2019 hanno attivato oltre 2,3 milioni di occupati diretti nel settore del recupero edilizio e della riqualificazione energetica e oltre 1,1 milione di occupati indiretti nelle industrie e nei servizi collegati.

Il saldo - complessivamente positivo - per lo Stato
Come si diceva, lo Stato ha guadagnato dalla lunga stagione degli sgravi. Tuttavia, il saldo risulta positivo solo se si abbandona il limitato bilancio tra entrate e uscite fiscali e si guarda invece al "big picture". Ma ecco i numeri. Dal punto di vista delle entrate e delle uscite l'impatto indica un saldo negativo di 29,8 miliardi in 20 anni, che risulta da una defiscalizzazione di 151,5 miliardi di euro compensata da un gettito fiscale e contributivo (a legislazione vigente) di 121,6 miliardi di euro per i lavori svolti. Tuttavia, se si considera il riparto del mancato gettito sull'arco di tempo di 10 anni (oltre alla «introduzione nella riflessione di elementi di natura finanziaria ed attuariale, basati sull'attualizzazione dei valori precedentemente esposti») il saldo - sia pure ancora negativo - si ridurrebbe a -3,6 miliardi. Se però si considera in modo più ampio il risultato economico dello Stato includendo «la diminuzione del gettito da imposte sulle bollette energetiche; la quota di gettito per lo Stato derivante dai consumi e dagli investimenti mobilitati dai redditi aggiuntivi dei nuovi occupati; gli introiti catastali» e altre voci, ecco che il saldo diventa positivo «per quasi 8,7 miliardi di euro». Non solo. Se si considera anche il risultato economico degli investitori (cioè delle famiglie), largamente negativo per -249 miliardi; e poi si mette nel conto anche il risultato economico delle imprese, largamente positivo per 267 miliardi di euro, ecco che il saldo finale del periodo 1998-2018 «risulterebbe positivo per 26,7 miliardi di euro».

Lo studio Camera-Cresme

Lo studio Camera dei Deputati-Cresme sull'impatto degli sgravi edilizi sul recupero e la riqualificazione energetica

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