Urbanistica

Casa, pronto il piano del Governo per la tassa unica: in pensione Imu e Tasi

di Marco Mobili e Gianni Trovati

Ripartono i grandi lavori sulle tasse del mattone, con l’obiettivo di fondere in una nuova imposta unica l’attuale doppione prodotto da Imu e Tasi, evitando il più possibile un contraccolpo sui contribuenti.

A riaprire il dossier è la Lega, con una proposta di legge che apre il lungo elenco di firmatari con il vicepresidente della commissione Finanze alla Camera Alberto Gusmeroli e il capogruppo di Montecitorio Riccardo Molinari. Ma il testo è già passato anche da un approfondito esame tecnico al ministero dell’Economia, e riprende un’idea già tentata dallo stesso Gusmeroli in legge di bilancio. A dicembre i tempi stretti e i troppi fronti aperti che hanno caratterizzato il caotico cantiere della manovra hanno imposto di accantonare il tema. Che però rimane ai piani alti dell’agenda fiscale del Carroccio: e promette di tornare presto in scena nel dibattito politico e in un confronto con i sindaci che non si annuncia semplice. Perché come insegna l’esperienza il fisco sugli immobili è materiale infiammabile.

Il primo obiettivo della «nuova Imu» è quello della semplificazione. Perché dopo l’altalena continua degli ultimi anni il fisco sul mattone si è bloccato sul doppione Imu-Tasi che fa pagare due imposte sulla stessa base imponibile. L’imposta in pratica è sempre la stessa, soprattutto dopo che l’esenzione dell’abitazione principale ha cancellato anche sul piano teorico il legame esile fra la Tasi e i servizi comunali; ma sono doppi i calcoli, i moduli da compilare e i gruppi di aliquote da sorvegliare.

Ma nei tredici articoli scritti per costruire la «nuova Imu» la fusione delle due imposte è solo la prima delle semplificazioni. La proposta ripesca una vecchia promessa mai attuata, quella del bollettino precompilato che i Comuni dovrebbero spedire ai contribuenti, ma prova anche a creare le condizioni per attuarla. A renderla impossibile finora è stata la fioritura di oltre 200mila aliquote diverse sul terreno sempre fertile dell’autonomia tributaria comunale. Perché ogni Comune può introdurre aliquote differenti per ogni tipologia di immobile, identificando le categorie, anche micro, da agevolare o da colpire.

Ad addentrarsi in questa giungla è stato ora il Mef, che ha passato al setaccio i regolamenti comunali per cercare le categorie utilizzate più di frequente per diversificare le aliquote. Ne è nata una norma, all’articolo 6 del testo, che permetterebbe ai sindaci di fissare solo altre dieci aliquote su misura di altrettante categorie di immobili. Categorie da distinguere in due famiglie. Gli immobili residenziali, accanto alla tipologia generica delle seconde case, vedrebbero immobili a disposizione (vuoti da almeno due anni), case date in affitto come abitazione principale e comodati ai parenti. Fuori dal residenziale ci sarebbero invece fabbricati industriali, commerciali, ospedali e case di cura (categoria B), laboratori artigianali ( C3), negozi dei centri storici e capannoni.

Ma il nodo più intricato è quello dell’aliquota massima. La proposta punta a fissare il tetto al 10,6 per mille, permettendo per un solo anno la conferma della maggiorazione dello 0,8 per mille che oggi in circa un sesto dei Comuni porta il totale all’11,4 per mille. Ma è ovvio che un addio alla maggiorazione, senza compensare il mancato gettito, scatenerebbe l’opposizione dei Comuni. Il problema non è insuperabile, perché vale circa 280 milioni sparsi in 300 enti, ma bisogna decidere come. A dicembre, nell’emendamento alla manovra poi ritirato, si era scelta l’altra strada, che avrebbe permesso l’11,4 per mille ovunque, anche dove oggi la maggiorazione non è prevista. Ma un’ipotesi del genere finirebbe per aprire le porte a un aumento a tappeto della pressione fiscale. L’Anci, nella sua proposta, aveva avanzato un’ipotesi intermedia dell’11 per mille, che limiterebbe il problema senza cancellarlo. Ed è evidente che proprio qui si incontra l’incognita principale per una riforma che, come riconoscono gli stessi firmatari, può puntare al massimo a una «tendenziale invarianza di gettito». Perché anche in questo caso basta l’esperienza degli anni scorsi a mostrare che garanzie più precise contro il rischio aumenti sono destinate a rimanere lettera morta.

Tra le incognite ci sono poi aspetti tecnici solo apparentemente secondari. Quello più insidioso nasce dal fatto che la nuova norma si dimentica di disciplinare il funzionario responsabile dell’imposta: senza il quale è impossibile cercare di incassare l’imposta da chi non la paga spontaneamente.

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