Urbanistica

Case popolari, il Comune può allungare fino a 20 anni il vincolo sulla vendita libera

di Massimo Frontera

Lo strumento della convenzione con la quale l’ente locale regola la realizzazione degli alloggi di edilizia economica e popolare può prevedere un termine per il divieto di cessione degli alloggi sul libero mercato che può anche coincidere con l’intera durata ventennale della concessione stessa. Superando pertanto il termine di cinque anni, che le norme hanno introdotto a partire dal 1992, e che nella prassi si è affermato come «standard vincolistico».

Con questa motivazione il Consiglio di Stato ha ribaltato una sentenza del Tar Lazio che aveva inizialmente dato ragione ad alcune cooperative edilizie che avevano impugnato due delibere consiliari di Roma Capitale n.7/2013 (durante il mandato del sindaco Gianni Alemanno) e n.60/2014 (durante il mandato del sindaco Ignazio Marino). Delibere con le quali l’amministrazione capitolina aveva definito un nuovo schema di concessione. Il nuovo schema di concessione escludeva la possibilità di alienare gli alloggi entro il quinto anno della realizzazione. E, inoltre, limitava, nel periodo tra il quinto e il ventesimo anno della realizzazione, l’alienazione dell’alloggio realizzato ai soli soggetti in possesso dei requisiti per l’assegnazione degli alloggi popolari.

Su quest’ultimo punto gli operatori avevano contestato la decisione del Comune e avevano impugnato le delibere al Tar Lazio, il quale, con la pronuncia n.1686/2016 accoglieva (almeno in parte) il ricorso.

SCARICA IL TESTO - LA PRONUNCIA DEL TAR LAZIO N.1686/2016

Il Consiglio di Stato, ora, ribalta il verdetto del giudice di primo grado, consegna all’amministrazione di Roma Capitale una significativa vittoria di principio (salvo, sul piano pratico, verificare l’effettiva sostenibilità economica delle convenzioni) e più in generale aiuta le amministrazioni locali a riscoprire le potenzialità di uno strumento - quello della convenzione - che i giudici indicano come reso «più agile, duttile e modulabile in base alle varie esigenze proprie dei diversi contesti urbani del Paese».

In via preliminare, i giudici di Palazzo Spada ricordano le modifiche normative intervenute in materia di convenzioni urbanistiche finalizzate alla realizzazione di alloggi di edilizia economica e popolare. Due, in particolare, le novità più importanti. La prima novità è che per le convenzioni stipulate prima dell’entrata in vigore della legge n.179/1992 i vincoli alla vendita degli alloggi possono essere rimossi, entro il primo quinquennio di vita dell’alloggio, a titolo oneroso e attraverso una ulteriore convenzione da sottoscrivere con il Comune, al quel spetta anche la decisione sul calcolo del corrispettivo che l'interessato deve versare.
La seconda novità riguarda le convenzioni stipulate dopo l'entrata in vigore della legge n.179/1992. In particolare, il vincolo alla vendita ha efficacia limitata solamente al primo quinquennio e, comunque, può essere superato «previa autorizzazione della regione, quando sussistano gravi, sopravvenuti e documentati motivi».
Il quadro legislativo che ne risulta, osserva il Consiglio di Stato, è «indubbiamente connotato da una tendenziale riduzione dei vincoli all'alienazione stabiliti dalla previgente normativa».

Contestualmente, ricorda sempre Palazzo Spada, «a tale alleggerimento dei vincoli normativi, tuttavia, non si accompagna la previsione della nullità di pattuizioni convenzionali che introducano, in varia forma, vincoli ulteriori a quelli contemplati dalla legislazione vigente. In altri termini, il tessuto ordinamentale ha registrato sì un oggettivo arretramento dei vincoli imposti ex lege, come tali imperativi ed assoluti, ma non ha contestualmente recato il divieto della previsione convenzionale di limiti all'alienazione diversi e ulteriori rispetto allo standard vincolistico attualmente stabilito».

In altre parole, all’interno del quadro normativo, ciascuna amministrazione locale, se vuole, può decidere di andare controcorrente, per così dire, e imporre vincoli più severi sulle alienazioni. Ed è proprio quello che ha fatto il comune di Roma con le citate delibere, in nome del pubblico interesse e, peraltro, con validi motivi.

«In primo luogo - sottolineano infatti i giudici del Consiglio di Stato - ricorre un evidente interesse di Roma Capitale, quale ente esponenziale della collettività locale, a riservare per un più lungo periodo di tempo gli alloggi di edilizia popolare alle fasce svantaggiate della popolazione, tanto più in considerazione della notoria difficoltà di reperire immobili ad uso abitativo a prezzi accessibili nella Città di Roma». «In secondo luogo - si legge nella sentenza - non si è in presenza di un radicale divieto di alienazione, ma di una mera perimetrazione contenutistica della facoltà di disposizione del titolare dell'alloggio, con particolare riferimento al prezzo di cessione ed alle qualità soggettive del compratore». Infine, «il termine ventennale costituisce un “conveniente limite di tempo”, sia perché è pari al termine di durata minima ex lege della convenzione, sia perché è del tutto logico che tale termine sia superiore a quello decennale previsto dalla l. n. 560 del 1993 per l'ipotesi di dismissione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, fenomeno generale da cui si distingue (proprio per le caratteristiche costruttive economiche, per il bacino di utenza popolare e per le modalità autoritative di acquisizione delle aree) la species dell'edilizia economica e popolare cui è, invece, specificamente rivolto l'art. 35 della l. n. 865 del 1971, che ha interamente riscritto l'art. 10 della l. n. 167 del 1962, recante appunto “Disposizioni per favorire l'acquisizione di aree fabbricabili per l'edilizia economica e popolare”».

In conclusione, la ratio del quadro normativo sulle convenzioni sull’edilizia economica e popolare «ad avviso del Collegio, non deve essere individuata nella volontà di impedire tout court vincoli alla disponibilità degli alloggi diversi da quelli imposti per legge: se così fosse stato, infatti, vi sarebbe stata l'apposita previsione della nullità di clausole convenzionali recanti vincoli ulteriori rispetto a quelli stabiliti dalla legge. Al contrario, la finalità delle modifiche succedutesi nel tempo è con ogni ragionevolezza rappresentata dall'enucleazione di un più ampio margine di libertà operativa per lo strumento convenzionale: l'eliminazione del pesante apparato vincolistico in precedenza stabilito dalla legge, invero, rende l'istituto oggettivamente più agile, duttile e modulabile in base alle varie esigenze proprie dei diversi contesti urbani del Paese».

SCARICA IL TESTO - LA PRONUNCIA DEL CONSIGLIO DI STATO N.5300/2018

La pronuncia del Consiglio di Stato

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©